La variabile inflazione

di Biagio Campo

Le attese di inflazione, particolarmente negli Stati Uniti, si sono rivelate stabili negli ultimi dieci anni, dato che gli investitori hanno avuto grande fiducia nella capacità della Federal Reserve di manovrare i tassi d’interesse in base al cambiamento dei cicli economici. La crisi, tuttavia, ha posto molti problemi per la Fed, e “mentre siamo fiduciosi che la banca centrale manterrà gli occhi aperti su uno sviluppo economico equilibrato rispetto alle pressioni inflazionistiche, il timing sull’uscita dall’attuale situazione d’intervento e i molteplici programmi di liquidità avranno probabilmente implicazioni per le attese d’inflazione e anche per la volatilità”, come spiega James Mauro, senior portfolio manager di StateStreet Global Advisor, autore, insieme al collega David Kobuszewski, dell’area global fixed income, di un interessante report sull’inflazione.
“La contrazione economica”, prosegue Mauro “ha dato il via ad un output gap sostanzialmente negativo, ovvero un deficit tra ciò che l’economia può produrre (Pil potenziale) e ciò che realmente sta producendo (Pil reale). Un simile gap implica un alto tasso di disoccupazione e pressioni deflazionistiche”.
Il crollo della crescita globale è stato causato non solo da un’aggressiva politica di monetary easing, ma da parecchie misure non convenzionali adottate per pompare liquidità nel mercato. Di conseguenza il bilancio patrimoniale della Federal Reserve è esploso da 400 a 1.800.000 miliardi di dollari. Mentre è “estremamente improbabile che questo genererà pressioni inflazionistiche nel breve periodo, porrà la necessità di una exit strategy credibile per prevenire questo tipo di pressioni nel lungo periodo”, afferma Kobuszewski.
L’articolo completo lo puoi trovare su Soldi,
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