Scaroni attaccato dal gestore attivista sul Web e sul FT

Knight Vinke Asset Management ha acquistato due pagine intere sul Financial Times per bacchettere Paolo Scaroni. La lettera, scritta in italiano, è una vera e propria tirata di orecchie all’ad di Eni, di cui il fondo attivista detiene una quota inferiore al 2% ma in cui ha investito un terzo dei propri asset.

Il punto di partenza dell’intera missiva è la valutazione del titolo Eni, che secondo i due firmatari Eric Knight e Glen Suarez è fortemente a sconto a causa della struttura conglomerata del gruppo. Per Scaroni punto di forza, per i gestori un punto di debolezza, che penalizza le procedure di analisi da parte dei broker. Tra gli effetti di questa “distorsione” ci sarebbe, ad esempio, la valutazione della divisione Gas and Power, sottostimata perché gli analisti del settore oil la valutano come se fosse una società petrolifera e non (come invece dovrebbe essere) in quanto utility. Quanto alla divisione E&P, secondo i due manager è valutata, rispetto al cash flow, con un multiplo di quattro volte inferiore rispetto al comparto. Allo stesso modo, il mantenimento all’interno dell’Eni delle attività di gas marketing non può essere giustificata dai presunti vantaggi che questa avrebbe recato con la possibilità di investire nell’upstream russo, visto che altre compagnie internazionali hanno fatto lo stesso pur non possedendo al proprio interno attività di downstream. Tra le soluzioni proposte dal fondo, la separazione dell’Eni in due società specializzate, da realizzarsi mediante spin-off: una GasCo formata dall’utility (compresa la partecipazione di Snam Rete Gas) dell’Eni e una OilCo raggruppante l’upstream e le altre attività del gruppo. In questo modo la OilCo risulterebbe priva di debiti, libera da costrizioni finanziarie e in grado di diventare più grande e più forte dell’Eni attuale. La crescita stimata annua sarebbe così dell’11% l’anno (contro gli attuali 1-2% di Eni) Quanto alla Gasco, come utility sarebbe in grado di sostenere un livello di debito più alto senza rischiare un downgrade (scenario che invece non è del tutto irrealistico se Eni resta un conglomerato). L’incremento di valore stimabile da questa operazione sarebbe di 50 miliardi di euro.

http://www.ft.com/home/europe

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