L’ottimismo della Fed

I tassi sono stati lasciati allo 0.25% e fino a qui, niente di nuovo. I mercati erano però concentrati sulle dichiarazioni dei membri del board e c’era chi scommetteva per toni più hawkish, chi per toni più dovish, chi non vedeva l’ora di sentire dei commenti relativi al mercato immobiliare, che potrebbe essere un traino per migliorare la disastrosa situazione del mercato del lavoro e nel contempo dare una bella mano per far ripartire l’economia.

Ebbene, a differenza degli ultimi statements, qualcosa sembra essersi mosso, ed il verso è quello ottimista. La Fed ha completamente ignorato gli ultimi sviluppi avvenuti sul lato disoccupazione e vendite al dettaglio, e con un tono molto più rilassato rispetto allo scorso dicembre ha dichiarato che “l’attività economica ha continuato a rafforzarsi”.

In aggiunta a questa forte dichiarazione, c’è stato un membro del board, Mr. Hoenig (Fed di Kansas City), che ha dichiarato che il continuo miglioramento della situazione economica e la stabilizzazione delle condizioni finanziarie non garantiscono più “livelli eccezionalmente bassi per i tassi sui Fed Funds per un periodo prolungato”. Che alcuni degli altri membri del board si siano schierati dalla parte di Ben Bernanke soltanto per sostenere la sua nomina a presidente della Fed? Solo il tempo celo dirà…

Continuando l’analisi dello statement, non si può non notare la completa mancanza di riferimenti al mercato immobiliare ed il fatto che il linguaggio relativo al ritmo di recupero dell’economia. Per quanto riguarda quest’ultimo, si è detto che “is likely to moderate” invece del precedente “is likely to remain weak” (moderato vs debole).

Pensiamo che questo ottimismo, a meno che non venga supportato da dati macroeconomici buoni (per  cominciare a rendercene conto appieno dovremo aspettare il dato sul GDP americano il prossimo venerdì), possa essere di supporto per il rischio, piuttosto che per il dollaro americano.

Attenzione oggi al dato sugli ordini dei beni durevoli americani relativi al mese di dicembre, che potrebbe iniziare a darci un’idea dello stato di salute dell’industria a stelle e strisce (la maggior parte delle grosse aziende di fatti, lavorano su ordinazione).

UsdChf–grafico 240 min

Passiamo all’analisi tecnica dove, alla fine, notiamo come il dollaro sia riuscito a indebolire la moneta unica oltre il livello del supporto del cambio, indicato da giorni a 1.4020-40.

Questo ha portato ad una discesa di 100 punti esatti e con qualche conferma potrebbe rappresentare l’inizio di un nuovo momentum favorevole al biglietto verde. Una conferma sarebbe proprio quella, come stiamo già osservando nelle ultime ore, di un test della passata rottura di ieri, il così detto pullback, ed un ritorno nuovamente a scendere del cambio. I livelli obiettivo possibili sono chiari: abbiamo un primo 1.3840 e successivamente quello che reputiamo come vero livello di cambiamento dello scenario, 1.3750. Lo abbiamo già indicata ieri e continua ad essere valida anche per oggi, l’idea che la negazione di questa ventata ribassista possa avvenire con la rottura a rialzo di 1.4180 e 1.4220.

La ripresa del dollaro, anche nei confronti dello yen, non è comunque in grado di impensierire lo scenario ribassista. Il grande livello da abbattere si trova a distanza di sicurezza, 92.50, e il cambio si troverà comunque prima a fare i conti con la resistenza di 90.80, non solo indicata dalla trendline discendente con origine il 7 gennaio scorso, ma anche da un bello spyke del 4 dicembre, in grado di portare il cambio a lasciare sul terreno 300 punti in 3 giorni.

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