Voglia di T Bond e piccolo lusso

di Ugo Bertone

Gary Shilling è una stella di prima grandezza nell’Olimpo dei grandi investitori americani. Soprattutto dopo che il suo pessimismo a prova d’acciaio sul mercato immobiliare americano, al centro delle sue revisioni dal 2004, ha trovato puntuale conferma.
Compreso l’effetto domino su Wall Street, prima, e sull’economia globale, poi. Per questo, una volta tanto, merita accantonare lo scetticismo per i “consigli di acquisto” che periodicamente arrivano dagli esperti di oltre Oceano, che tanto infalllibili non sono (altrimenti si sarebbero già ritirati con il malloppo) e seguire il filo dei suoi ragionamenti rigorosamente “contrarian”. Qual è l’investimento Killer dei prossimi mesi? Facile, il T bond a lungo termine. Per la verità, ammette Shilling, non è un suggerimento nuovo. È dal 1981 che l’esperto dà sempre la stessa indicazione. Con buoni risultati perché cento dollari investiti allora in uno zero coupon a 30 anni oggi valgono 16.972 dollari, con un rendimento medio del 20,1 per cento.
La stessa somma, investita nello S&P 500 dà per risultato, dopo aver reinvestito i dividendi, 2.099 dollari, ovvero l’11,8% annuo. Insomma, l’investimento in titoli di Stato trentennali ha reso 8,1 volte di più. Bella forza, si può obiettare: l’investitore in titoli di Stato negli anni Ottanta ha potuto contare sulla grande inflazione, poi sgominata da Paul Volcker, il presidente della Fed che impose una cura da cavalli al mercato monetario Usa proprio con un’iniezione di tassi alti, destinati a calare nel corso degli anni: dal 14,7% dell’81 al 3% circa. Vero, risponde Shilling. Non a caso, un anno fa, ho dichiarato chiusa l’epoca dei bond, mettendo in guardia contro il rischio bolla.
Ma da allora sono avvenuti fatti nuovi, che mi hanno convinto a tornare sui miei passi. Sono abbastanza convinto, dopo la risalita dei rendimenti dei mesi passati, drogata dalla paura dell’approssimarsi della fine del quantitative easing, che ci sia di nuovo spazio per una bella discesa dei tassi: dal 4,5% al 3% almeno. Vi sembra poca roba? Si tratta di un bel 34%, signori miei. Inutile dirlo, non sono in molti a rendarla come Shilling. Primo, bisogna tener conto dell’effetto “dollaro debole”, alimentato dalla marea dei debiti che minacciano di sommergere gli Usa. Secondo, la necessità di garantire ai creditori esteri un rendimento elevato, necessario per garantire l’ossigeno necessario a sostenere il deficit.
Ma gli americani, volenti o nolenti, stanno tornando a risparmiare, ribatte Shilling. E sarannpo condannati a farlo per un bel po’, almeno finché non si riprenderà il mercato immobiliare, restituendo un valore ai mutui. Una prospettiva che, per i prossimi anni, è una semplice chimera. Più risparmi vogliono dire meno deficit, dunque meno Bond di nuova emissione. Per questo motivo è scontato che il dollaro ancora una volta si farà beffa dei suoi becchini, che di tanto in tanto annunciano la fine della valuta Usa.
Ma, a parte i T bond, non c’è altro da comprare? C’è, replica Shilling, ma c’è anche tanta roba da vendere. Tanto per cominciare, prestate la massima attenzione ai coroporate bond di buona qualità e ai municipal bond (le emissioni degli enti locali). Ma non trascurate nemmeno le azioni delle utilities, non solo negli Usa.
La ragione? Semplice, le banche, in Usa come in Europa, fanno fatica ad uscire dalla trappola del credit crunch, con il risultato che il denaro a prestito è merce rara e più cara del dovuto. Perciò, chi ha la possibilità di saltare la mediazione bancaria, non può che bussare al mercato con emissioni di bond o con titoli azionari dalla cedola attraente. Non trascurate nemmeno le azioni delle società alimentari o, comunque, più legate al largo consumo. Ma, in particolare, date un occhio al “piccolo lusso”. Non dimenticate quel che accadde in Sud Africa alla fine dell’apartheid: gli acquisti di ombrelli firmati dalle griffes s’impennarono all’insù. Il motivo? In un momento particolare, prima dell’uscita dal tunnel, la gente sentì la voglia di comprare qualcosa di lusso. E si concentrò sui beni più abbordabili: non è l’ora dei gioielli, dunque, ma di un paio di scarpe o di un portafoglio sì.
Qualcosa, quindi, si può comprare. Ma gli affari migliori li faranno gli Orsi. La Borsa Usa, dice il nostro guru, è assai cara. Al giro di boa di gennaio il price earning è di 16,2 volte, cioè più alto della media. In realtà, però, sale almeno a venti volte se si considera il probabile calo dei profitti. È l’ora di vendere dunque, così come, chi può, farà un buon affare a vendere sterline, euro, dollaro australiano e neozelandese. E perfino le Borse dei mercati emergenti.
È qui che Shilling va controcorrente. Io non credo affatto, sostiene, nel decoupling tra l’economia Usa e quelle della Cina o del Brasile. Sì, nel 2009 è andata così grazie ai poderosi stimoli riversati nell’economia cinese. Ma la corsa ormai ha il fiato corto: non credo che la Borsa cinese possa sostenere a lungo un rapporto prezzo/utili superiore alle 35 volte. Vendete signori, vendete. Anzi, i migliori guadagni si faranno al ribasso, sfruttando la leva offerta dagli Etf appositi. Vedremo tra qualche mese se le indicazioni di Shilling, che continua a veder nero nel settore immobiliare e dei mutui, verranno confermate dai fatti. Per ora, non resta che tentare di “italianizzare” alcuni consigli.
Davvero è l’ora di puntare sui Btp a lungo? Molto dipende dall’inflazione, che veleggia, all’apparenza ai minimi. Ma che, a questo punto, non può che risalire: occhio perciò ai titoli inflation linked. Non è difficile ipotizzare una fase di debolezza dell’euro, a fronte delle difficoltà della Grecia, che rappresenta comunque la punta dell’iceberg. Una puntata sui titoli Usa, in questa fase, può offrire perciò più di una soddisfazione. Sui listini cinesi, e su quelli dei Bric in generale, si sta addensando la nuvola dell’ipercomprato: Pechino da settimane, non fa mistero di voler frenare la corsa agli acquisti nell’immobiliare per evitare l’effetto subrpime: una doccia fredda è tutt’altro che da escludere.
Qualcosa, dal punto di vista del “piccolo lusso” il listino italiano lo offre: Benetton e Tod’s in testa. Per il largo consumo non resta che concentrarsi su Coin, rafforzata dall’Upim.

L’articolo completo lo puoi trovare su Soldi,
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