Vita da trader – I figli di papà

Sono Marco, trader in proprio. In anni di sale mi è capitato di incontrare cani e porci. Direi più cani, i porci se ne stavano poco tempo a tradare, il resto lo passavano a gestire altri affari. Ebbene tra tutte le categorie di cani, nel senso formale di “incapaci a svolgere la loro mansione”, quelli che mi davano più il nervoso erano i figli di papà. Provenivano generalmente dal mondo industriale, con uno o entrambi i genitori che garantivano pecunia in abbondanza grazie all’azienda di famiglia; e loro, tra un happy hour e l’altro, ragazze dell’est e droghe, pensavano bene di sperperare il rimanente giocandoselo in corsa.

Fosse fin qui, nulla da dire, se non l’umano rifiuto verso lo status di parassita sociale. Ma la cosa che davvero non sopportavo era il loro modo di fare, l’arroganza con cui si sentivano i padroni del mercato, quando poi nemmeno sapevano cosa diavolo significasse un trend. Loro erano lì, come pecoroni inebriati da una vita troppo facile. A me rimaneva però una piccola soddisfazione; vederli cadere ad uno a uno, con il papi di turno che dopo un po’ veniva a tirare le orecchie. E’ sempre stato questo l’happy end e sempre lo sarà.

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