Il governo italiano offre il 4,99%. Ma ci vogliono quarant’anni

di Paolo Brambilla

Secondo molti commentatori, questo non è un momento molto favorevole all’emissione di bonds. Molti investitori istituzionali sembrerebbero piuttosto rivolgersi al mercato dei covered bonds, anziché a quello tradizionale dei corporate bonds a tasso fisso. Sono dunque disposti a rinunciare in parte alla remunerazione del prestito, pur di avere garanzie aggiuntive. Il fatto è che nel mese di maggio, secondo i dati riportati da Bloomberg, si è assistito a un forte declino delle emissioni (ad esclusione appunto dei covered bonds) con un ritorno ai livelli del 2003. Tuttavia riscontriamo anche questa settimana un numero adeguato di emissioni, anche se dobbiamo ammettere che la maggior parte di esse non è molto remunerativa. Altro aspetto che continua a caratterizzare questo mercato è la scarsa, anzi scarsissima, fiducia che riscuotono le agenzie di rating. Le tre principali fra di esse, Moody’s Investors Service, Standard & Poor’s e Fitch Ratings subiscono ormai quotidianamente gli attacchi delle istituzioni governative. Del Senato americano e della sua posizione estremamente critica già abbiamo parlato nei numeri scorsi. Si è aggiunta ultimamente la dura posizione dell’Unione Europea, che intende dotarsi di una propria agenzia, anche se il mercato tende a dubitare che essa possa avere una reale indipendenza nelle future valutazioni. La supervisione comunque dovrebbe spettare alla Banca Centrale Europea. Negli Stati Uniti, nonostante il deficit federale ormai molto probabile, tengono molto bene i Treasury bonds, la cui remunerazione a 10 anni si attesta intorno al 3,3%, confermandosi nelle attese degli investitori come una delle scelte migliori. A patto che il Tesoro americano non faccia uno scivolone troppo vistoso.
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