Finanza personale – Dipendenti o in proprio?

Dipendenti o in proprio?

L’allungamento dell’età pensionabile su cui insistono quasi tutti i governi
occidentali fa a pugni con la tendenza che hanno molte imprese di vari
settori di sbarazzarsi anzitempo di dipendenti costosi perché caratterizzati
da maggiore anzianità e probabilmente minore “flessibilità”.
E allora un soggetto economico consapevole (uomo o donna, giovane
o meno giovane) non può non chiedersi se oggi sia meno rischioso un
lavoro dipendente in cui il reddito è apparentemente sicuro ma sono altri
a decidere quando si deve smettere (tipicamente quando non si ha più
la possibilità di trovare un altro impiego adeguato), o lavori autonomi e
imprenditoriali il cui reddito non è affatto sicuro ma si decide in prima
persona quando smettere (e quando eventualmente ripartire).
Non è vero che imprenditori si nasce. Leggendo un’indagine dell’ISPO
(pubblicata nel marzo 2010) condotta su 400 giovani imprenditori associati
a Confartigianato si scopre che il 75% del campione prima di mettersi in
proprio apparteneva alla categoria dei lavoratori dipendenti.
D’altra parte, a molti può far comodo essere forzati alla quiescenza
prima dei 60-65 anni: pensiamo a coloro che possono agire nell’economia
informale domestica, come quelli che possono aiutare familiari impegnati
nel piccolo commercio o nell’artigianato o dedicarsi all’autoproduzione
ortofrutticola. Ma per molti altri l’uscita prematura dal lavoro dipendente
(con o senza “scivoli” verso la pensione) può significare una riduzione
sostanziale del tenore di vita senza la possibilità di trovare valide alternative
di impiego e quindi l’umiliazione di sentirsi inutili.

L’alternativa lavoro/impresa deve essere vista anche in relazione al ciclo
storico, che vede dagli anni Ottanta del secolo scorso un aumento delle
disuguaglianze e un incremento più che proporzionale della remunerazione
del fattore produttivo capitale rispetto a quella del fattore produttivo
lavoro (senza scomodare Karl Marx). In Italia questo è stato dovuto anche
all’eccessivo carico fiscale e contributivo che grava sui redditi da lavoro
– ovviamente quelli dichiarati.

L’evoluzione futura dipende molto dalla misura con la quale il lavoro
dipendente continuerà ad avere caratteristiche così diverse da quello
autonomo (in Italia per le note resistenze sindacali la differenza è ancora
abissale). E poi dal grado con il quale si diffonderà la compartecipazione
dei dipendenti alla crescita di valore dell’azienda per la quale lavorano
(con assegnazione di azioni o stock option). Ma è chiaro che i lavoratori
dipendenti dovranno sempre più riflettere su dove saranno – salute permettendo
– da qui a 10-20 anni e su come fronteggiare eventuali espulsioni
dal mondo delle imprese a 40-50 anni di età. Di fatto, un piano B è oggi
obbligatorio; un piano C è caldamente raccomandato.

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