Benetti (Swiss & Global AM): il labile confine tra consapevolezza ed arroganza

Carlo Benetti, Responsabile Investitori Istituzionali di Swiss & Global Asset Management SGR, commenta gli stravolgimenti avvenuti sui mercati finanziari nel mese di agosto, interrogandosi sulla relazione futura tra Occidente ed economie emergenti.

E’ successo tutto nelle settimane dell’ombrellone e in molti, risparmiatori ed operatori, hanno sofferto il caldo delle temperature e degli indici. Secondo alcune leggende medievali le ferie infernali erano periodi nei quali le pene dei dannati venivano temporaneamente mitigate, nel mondo romano le feriae pubbliche erano giorni nefasti.

Questo agosto frenetico, infernale o nefasto che fosse, è cominciato con l’abbassamento del merito di credito agli Stati Uniti e con un aspro confronto tra Democratici e Repubblicani sui limiti di legge dell’indebitamento. Poi si sono accresciuti i timori sulla sostenibilità dei debiti pubblici in Europa e ne hanno sofferto i titoli governativi e i titoli bancari. Il 10 agosto è stata una giornata bizzarra alla Borsa di Parigi che, dopo una mattina positiva, crollava nel pomeriggio sulle voci di un presunto atteso downgrading della Francia e di difficoltà delle sue banche. Negli ultimi giorni del mese la stessa cosa si è verificata alla Borsa di Francoforte, crollata del 4% senza particolari motivazioni.

In quelle settimane l’appetito per il rischio è sceso bruscamente ai livelli di panico di fine 2008 e nel più classico riflesso pavloviano è cresciuta la domanda di obbligazioni di elevata qualità. Il crollo delle Borse ha fatto aumentare il costo dei CDS, sorta di assicurazione contro i rischi di insolvenza di uno stato sovrano, e il differenziale di rendimento tra i titoli decennali italiani e tedeschi ha raggiunto nuovi massimi, e nuovi massimi ha toccato l’oro.
Ancora oggi la trama dei mercati sembra quella di un romanzo picaresco, un susseguirsi di peripezie nei registri del comico (il dowgranding degli Stati Uniti) e del tragico (nuova recessione?).

L’agosto 2011 ha avvicinato il momento in cui gli Stati Uniti consegneranno alla Cina il ruolo di locomotiva economica globale giacché Stati Uniti ed Europa sembrano incapaci di gestire il debito accumulato e questa delicata fase di transizione. L’irrazionalità agostana è probabilmente sintomo di un malessere più profondo ovvero la difficoltà della politica a riappropriarsi di veduta lunga e progetti alti, politica che sembra aver rinunciato a guidare la pubblica opinione preferendo assecondarne gli umori, rimanendone soggiogata: oggi nessun capo di governo sembra disposto a rischiare la propria leadership su un progetto forte.

Ma la tempesta sta risparmiando le economie emergenti dove i debiti pubblici non sono un problema e, se lo fossero, i tassi di crescita sono tali da offrire adeguate assicurazioni sulla loro sostenibilità. In Cina la parola italiana più nota è Rinascimento: i cinesi, per lo meno le elite culturali e gli studenti, ritengono che il loro Paese stia vivendo il suo Rinascimento, un periodo di prosperità economica, sociale, culturale analogo a quel tempo straordinario della nostra cultura 500 anni fa.

Si dice che la crescita cinese debba essere cooperativa, perché l’Occidente anche se privato dell’egemonia economica ha molto da insegnare su diritti civili, organizzazione democratica degli ordinamenti, welfare. Ma alcuni cinesi cominciano a chiedere cosa significhi “cooperazione”, se cioé debbano essere loro ad uniformarsi al nostro modello o … viceversa!  Il passaggio dalla consapevolezza all’arroganza è sempre labile: è anche questa la sfida dei prossimi decenni. Non solo economica evidentemente.

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