Credit Suisse sull’Italia vede rosa

L’Italia non è messa poi così male. Dopo la bocciatura di Standard & Poor’s, gli esperti danno il proprio parere. E Credit Suisse, in particolare, scrive in un report: “è il grande Paese nell’Europa dei periferici, e non è messo tanto male. Rappresenta il 17% del Pil dell’area euro e il 23% del mercato dei bond governativi della zona. Si noti”, scrivono gli analisti, “che è il terzo mercato obbligazionario a livello mondiale”.

“L’Efsf, anche se varato nella sua forma estesa, non è abbastanza grande per l’Italia, dal momento che gli restano circa 300 miliardi di dollari di finanziamenti mentre il debito pubblico italiano è di circa 1.900 miliardi di dollari. Ma”, continuano gli esperti, “riteniamo che il rischio di default sia molto più basso che nel resto dell’Europa periferica”. Perché? “L’Italia ha un deficit di bilancio del 4,1% sul Pil e un avanzo primario dello 0,6%, stando ai dati diffusi dal Fondo monetario internazionale (l’unico Paese europeo con questi dati a parte Svizzera e Norvegia)”.

“Il totale della leva in Italia (tra governo e privati) è inferiore alla norma della zona Euro. Questo perché i livelli molto elevati di debito pubblico (121% del Pil) sono compensati da un basso leverage nel settore privato, pari al 125% del Pil. Circa la metà del livello di Spagna e Portogallo, dal momento che diversamente dalla maggior parte della periferia non si è consumata alcuna bolla nel comparto creditizio o dell’edilizia nell’ultimo decennio. Il totale della leva non finanziaria nell’economia è del 246% del Pil, rispetto al 260% nella zona Euro e al 280% nel Regno Unito”.

Il vero problema dell’Italia, scrivono gli analisti, è semmai “la perdita di competitività e la bassa crescita. Ma con un disavanzo delle partite correnti del 3,9% sul Pil, la prima sembra inferiore rispetto alla Grecia e al Portogallo (dove il disavanzo delle partite correnti è del 9,6% e dell’8,9%)”. Quanto al debito sovrano, l’Italia ha una scadenza media di 7,2 anni, e circa la metà è nelle mani di investitori nazionali. Ciò significa, spiegano gli esperti, che ogni aumento dell’1% nel rendimento dei titoli dopo un anno aggiunge solo lo 0,4% del Pil per i costi di finanziamento (questo secondo il ministro delle Finanze italiano)”.

Infine, l’Italia è stata disposta a prendere alcune dolorose misure fiscali con un nuovo pacchetto di austerity di 60 miliardi di euro (il 3,8% del Pil) tra il 2011 e il 2014. Tutto considerato, è la conclusione, il rischio di default è sopravvalutato.

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