La Consob e i titoli di stato

Dall’ultimo bollettino pubblicato sul web apprendiamo che la Consob ha trasferito i titoli di stato dei propri investimenti sotto la voce “Immobilizzazioni finanziarie”. Lo apprendiamo in via indiretta, perché la relativa delibera, risalente al 20 luglio di quest’anno, è citata, solo con la data e senza indicazione di numero, nelle premesse di una successiva delibera (n.17915) che istituisce alcune voci di conto economico ancillari alla nuova configurazione dello stato patrimoniale. La prima osservazione riguarda la trasparenza: perché la delibera principale, quella del 20 luglio, non è pubblicata integralmente sul bollettino ed è addirittura richiamata senza indicazione di numero, che ne avrebbe facilitato di molto la ricerca?

Non si tratta di una delibera interna o di carattere secondario, essa ha una notevole rilevanza quale messaggio nei confronti del mercato e degli investitori. Manifesta infatti l’opinione della commissione e non può essere considerata di poco conto. Il trasferimento dei titoli di stato sotto la voce di “immobilizzazioni finanziarie” indica che la Consob non intende disfarsi di quei titoli a breve termine, ma intende conservarli fino alla scadenza. A voler essere ottimisti si può sperare (proprio una speranza) che si tratti di un’indicazione al mercato dell’intenzione di non cedere quei titoli per non gravare ulteriormente dal lato delle vendite il già asfittico lato della domanda dei titoli sovrani italiani.

Più facilmente, senza conoscere la delibera del 20 luglio, si può ipotizzare che quei titoli abbiano perso di valore e quindi, per evitare sgradevoli svalutazioni in bilancio, si provveda alla loro immobilizzazione per conservarne, almeno ai fini contabili, il loro prezzo di carico. In breve un più che legittimo artificio contabile, già usato altre volte dalle banche in situazioni di crisi del mercato finanziario per non portare alla luce perdite rilevanti. Si potrebbe ironizzare sul fatto che la Consob si trovi nella singolare circostanza di poter fare causa al venditore di quei titoli per averle ceduto strumenti finanziari non adeguati e magari senza avere fatto un’appropriata attività di consulenza. Al di là dello scherzo, ma non tanto, il messaggio lanciato al mercato, agli investitori e soprattutto agli intermediari è molto chiaro.

I titoli di stato, anche di quello italiano, hanno i loro rischi, anzi è quasi sicuro che si realizzi una perdita in conto capitale qualora non li si tenga in portafoglio fino alla scadenza. Non sono titoli illiquidi, ci mancherebbe, ma sono soggetti a significativi ribassi, comunque a quotare meno del loro valore nominale o del prezzo di sottoscrizione o di acquisto durante tutta la loro vita. A questo punto, di fronte a questo messaggio, gli intermediari sono costretti a porre in guardia i potenziali sottoscrittori di titoli di stato, speriamo a medio lungo termine, dal rischio, che è quasi una certezza in questo periodo, di potenziali perdite qualora intendano o siano costretti a non conservarli in portafoglio fino alla loro naturale scadenza. Vista la situazione e la quasi certezza di p e r – dite di valore nel realizzo prima della scadenza, sarà necessario valutare con più severità la rischiosità dei titoli stessi (il rischio sovrano zero deve essere considerato ormai un ricordo) e soprattutto l’holding period del cliente non potrà essere inferiore alla durata del titolo collocato, vista la quasi certezza di perdita che si avrebbe in un’anticipata dismissione.

Nel caso di collocamento di titoli alle aziende e a enti tenuti alla redazione di un bilancio o di un rendiconto, sarà opportuno comunicare questa delibera della Consob, perché costituisce una precisa indicazione contabile. Da ultimo, un cattivo pensiero sfugge dal cuore: una simile decisione è stata concordata col MEF, è stata addirittura suggerita oppure è frutto dell’autonomia dell’istituto, come prescrive la legge? In tale ultima ipotesi, la più probabile, chissà cosa ne pensa il MEF

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