Toh, chi si rivede: la Tobin Tax

Ritorna la proposta di istituire una tassa sulle transazioni finanziarie. Germania e Francia la caldeggiano, Barroso la sponsorizza, solo il Regno unito con l’Olanda si oppongono. La Tobin tax (dal nome del premio Nobel che la propose) fu ideata con lo scopo di drenare risorse dai paesi ricchi e trasferirle a quelli poveri o in via di sviluppo colpendo le transazioni finanziarie. Era una proposta molto ideologica; mirava a colpire i “ricchi” in quella che era ritenuta la più evidente manifestazione del loro potere: il trasferimento di capitali laddove fossero risultati più remunerativi, determinando il benessere o la miseria delle popolazioni locali. Progetto inattuabile. Oggi la situazione è capovolta: paesi fino a ieri ritenuti bisognosi di aiuti finanziano il debito di paesi più ricchi, i quali continuano ad avere un tenore di vita e un reddito nettamente più elevati dei loro.

La hegeliana dialettica del servo e del padrone forse ha trovato una conferma in economia? La proposta é oggi rispolverata nel disperato tentativo di trovare fonti di finanziamento per sostenere gli stati europei in difficoltà. Quando c’è bisogno di soldi non si va tanto per il sottile: si arraffa dove si può. Per nobilitare il tutto si cerca di vestire l’idea con la parvenza di razionalità o, peggio, di giustizia. Proprio in questo tentativo si finisce per fare torto alla ragione puntando su fattori emotivi che non corrispondono alla verità. Le forme impositive, comunque denominate, possono avere due scopi principali: redistribuire i redditi/ricchezza e/o favorire o sfavorire specifiche situazioni. Nel nostro caso i proponenti tentano di razionalizzare la Tobin tax affermando che le banche dovranno alla fine restituire tutti quei soldi che hanno avuto dagli stati. Colossale sciocchezza perché la tassa la pagheranno i “consumatori” di strumenti finanziari, quindi i clienti, compresi quelli “retail”.

Se si volessero recuperare i quattrini dati o prestati alle banche bisognerebbe trovare un’altra via (ammesso che oggi le banche siano in grado di restituire quanto hanno avuto). Anche la misura degli introiti è con ogni probabilità esagerata. Si parla di più di 50 miliardi di euro all’anno Questo sarebbe vero oggi; domani, proprio in virtù di questa tassa, le transazioni potrebbero diminuire (è questo il vero scopo della tassa?). Così avremmo due conseguenze negative: da un lato la diminuzione degli affari, di posti di lavoro e di altri investimenti e ricavi, e dall’altro un buco di bilancio da qualche parte per i ridotti incassi della nuova imposizione. Se si sarà tanto imprevidenti da predisporre investimenti e spese sulla base di tali previsioni, si sarà costretti a coprire le necessità finanziarie dell’ente impositore con altre tasse. Ulteriore conseguenza potrebbe essere la migrazione in zone più convenienti fiscalmente di intermediari e affari. Non si tratterebbe solo di paradisi fiscali, potrebbero essere semplicemente gli Usa.

E’ vero che la p r o p o s t a prevede di tassare le operazioni che abbiano anche una sola parte r e s i d e n t e n e l – l’area euro, ma questo avverrà solo per il collocamento finale degli strumenti finanziari, mentre i grossi quantitativi saranno scambiati tra banche nelle zone più convenienti. E anche questa sarà una perdita di lavoro e ricchezza dell’area euro. Un’ultima considerazione, ma altre se ne potrebbero fare: l’imposizione fiscale non deve mai essere fine a se stessa, ma avere uno scopo. Se lo scopo dell’esercizio fosse la stabilizzazione e la trasparenza dei mercati, sarebbe sufficiente istituire un’imposta che colpisca le operazioni concluse al di fuori dei mercati regolamentati e quelle intraday. Così operando si colpirebbero le operazioni meno trasparenti e quelle degli high frequency trader, portatori quest’ultimi di volatilità e altre situazioni pericolose per i mercati. Il gettito non sarebbe così importante, ma l’integrità e la qualità dei mercati ne trarrebbero notevole giovamento

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