Mercati emergenti, Raiffeisen aggiorna la view

L’indebolimento dell’economia globale, i timori di recessione per gli Usa e l’Europa e la crisi dei debiti sovrani nell’eurozona deprimono i mercati, mentre il sistema bancario europeo è sempre più sotto pressione e senza soluzioni credibili. Questo, in estrema sintesi, lo scenario tratteggiato da Raiffeisen Capital Management nel consueto report mensile sui mercati emergenti.

“A settembre è proseguito il declino degli indici azionari dei mercati emergenti e delle nazioni industrializzate avanzate. L’economia globale pare avviata verso una sorta di rallentamento sincronizzato; molti istituti finanziari e analisti internazionali abbassano le loro previsioni di crescita globale per il 2011 e il 2012. Per gli USA, l’UE e il Giappone è fortemente aumentata la probabilità di una recessione”, spiegano gli esperti.

“Nella gran maggioranza dei Paesi emergenti, invece, la crescita economica dovrebbe mantenersi positiva, sia pure con un sensibile indebolimento. Per quanto riguarda la Cina, si moltiplicano le voci di coloro che paventano un “atterraggio duro” della seconda economia mondiale. Tuttavia, i dati congiunturali non offrono alcun appiglio in tal senso”.

“Qualora però si concretizzasse veramente lo scenario di un forte indebolimento della crescita nell’Impero di Mezzo, la minaccia di un ritmo di crescita ancora più rallentato coinvolgerebbe anche molti altri Paesi Emergenti. Sui mercati delle materie prime, che in estate sono andati ancora relativamente bene, le prospettive di crescita globali peggiorate porterebbero a forti cali delle quotazioni, soprattutto nel comparto dei metalli industriali”.

“Ciò potrebbe contribuire nei prossimi mesi ad una sensibile distensione sul fronte dell’inflazione nei Paesi emergenti e consentire alle banche centrali e ai governi dei Paesi in via di sviluppo di ricorrere nuovamente, se necessario, a massicce misure di sostegno alla congiuntura. Per questo riteniamo che la maggior parte dei mercati emergenti sia ancora molto ben attrezzata ad affrontare un clima economico globale più debole, ciò grazie all’incremento delle loro risorse finanziarie e alla forte crescita dei loro mercati interni”.

Le persistenti incertezze legate alla crisi dei debiti sovrani nella zona euro si riverberano sempre più pesantemente sulla congiuntura nell’Eurozona e sull’economia mondiale. Il sistema bancario europeo mostra in misura crescente segni di stress; alcuni indicatori hanno già raggiunto o addirittura superato il livello dell’epoca del crac Lehman alla fine del 2008. Contrariamente all’autunno del 2008 oggi viene a mancare in gran parte il sostegno da parte degli Stati, che anzi sono spesso loro stessi parte del problema.

“È fin troppo evidente come gli interessi contrapposti all’interno dell’eurozona paralizzino l’azione dei governi. Di conseguenza manca ancora un piano credibile per arginare fattivamente la crisi. Al contrario, si tende a fare affidamento sul fatto che la BCE tamponi ancora in qualche modo la situazione e impedisca un’ulteriore escalation. Le banche italiane e britanniche sono state declassate dall’agenzia di rating Moody’s, la prime per il fatto che in precedenza era stato abbassato anche il giudizio di solvibilità del Paese, le seconde per il fatto che l’agenzia di rating conta su una minore disponibilità dello Stato a sostenere le banche in caso di bisogno”.

“Gli stress test effettuati in estate sulle banche dell’UE si stanno rivelando sempre di più una farsa. Il grande gruppo bancario belga-francese Dexia, che pare abbia superato senza problemi lo stress test, ora rischia il fallimento – quindi dovrebbe essere salvato dallo Stato belga (e francese) in caso di necessità. Peraltro, con una somma di bilancio che supera di ben oltre una volta e mezza il prodotto interno lordo del Belgio, una tale azione di salvataggio finirebbe col peggiorare la solvibilità dello stesso Stato belga”.

“Attualmente non si capisce come i governi dell’eurozona intendano bloccare questa pericolosa spirale recessiva. Il ministro delle finanze americano si è creduto ugualmente in dovere di proporre agli europei un forte ampliamento del fondo di stabilità ESFS e congiuntamente un’eventuale più massiccia assunzione dei debiti”.

“Questa proposta non ci sorprende, dato che l’America, che è il più grande debitore del mondo, è da molti anni adusa a “risolvere” i propri problemi d’indebitamento accumulando sempre nuovi debiti. Dal momento però che questo modo di agire sfocia ultimamente in una massiccia emissione
monetaria con notevoli rischi d’inflazione a lungo termine, esso suscita forti resistenze, soprattutto da parte della Germania”.

“Dall’altro lato un fondo EFSF rimpinguato di diverse migliaia di miliardi di euro, che venga rifinanziato dalla BCE, potrebbe essere presumibilmente la “soluzione” a breve termine “più vantaggiosa” e seduttivamente meno problematica per i politici, in quanto potrebbe probabilmente risparmiare loro, almeno temporaneamente, misure molto impopolari. In tal senso è del tutto plausibile che in caso di ulteriore aggravamento della situazione si ricorra proprio a questa opzione. Un’opzione che naturalmente lascerebbe irrisolti tutti i nodi – come d’altronde avviene anche con il continuo innalzamento del “limite superiore del debito” americano, una misura che ormai ha il mero sapore di un alibi”.

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