Sapere tutto o quasi sull‘inflazione

La moneta, il denaro, lo sappiamo tutti che cos’è. Ma che cos’è il denaro? Una strana semplice domanda, alla quale non è così facile rispondere. I soldi che noi possediamo, hanno un valore intrinseco, che non è costante nel tempo poiché tende ad aumentare o diminuire, al mutare di determinati parametri economici. Pur non deteriorandosi, la moneta può perdere valore o potere d’acquisto. Uno di quei parametri economici appena citati è proprio l’inflazione. Pochi sanno che questo termine viene utilizzato per descrivere due cose distinte fra loro.

Definizione di inflazione

Il termine inflazione include in se sostanzialmente due concetti. Nelle due accezioni che si attribuiscono a questa parola, la prima significa un aumento della quantità di denaro e banconote in circolazione e la loro conseguente perdita di potere di acquisto. La seconda viene usata in riferimento al fenomeno che è un risultato inevitabile del primo concetto e cioè la tendenza all’incremento generalizzato di tutti i prezzi.

L’inflazione come perdita di valore

Secondo la scuola austriaca, “inflazione” non significa aumento generalizzato dei prezzi, bensì ampliamento della massa monetaria cioè della moneta in circolazione nel mercato. Per la scuola di pensiero austriaca, la salita dei prezzi è solo una delle conseguenze dell’inflazione monetaria, ossia quel processo creato da una politica monetaria espansionistica messa in atto dalla Banca centrale, attraverso cui viene immessa in circolazione una maggiore quantità di denaro. Con le decisioni prese in ambito di politica monetaria, l’autorità politica di un Paese, stabilisce se immettere o togliere il denaro in circolazione in base a determinati parametri economici; la banca centrale “eseguirà l’ordine” modificando i tassi d’interesse vigenti. Naturalmente questa spiegazione è un’estrema sintesi di quello che avviene nella realtà e si tralascia volutamente tutto il lunghissimo iter da seguire. Seguendo questo ragionamento, si può comprendere ad esempio, come la politica monetaria espansionistica delle banche centrali in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi anni, sia stata ottenuta tramite una diminuzione dei tassi di interesse per aumentare la massa monetaria in circolazione. La conseguenza è stata la perdita del potere di acquisto delle rispettive valute e il conseguente aumento dei prezzi in entrambe le aree economiche.
Inflazione come aumento dei prezzi

La misura dell’inflazione avviene misurando periodicamente i prezzi di un insieme di beni – detto “paniere” – rappresentativo dei consumi finali delle famiglie, riassunti in un cosiddetto “numero indice”, o semplicemente indice. Il tasso d’inflazione non è altro che il tasso di crescita del numero indice così determinato. In particolare, il tasso d’inflazione tendenziale esprime la variazione rispetto al mese precedente. Il tasso annuale invece è la variazione della media dei 12 indici rispetto alla media dei 12 indici dell’anno precedente.

Quali sono le cause dell’inflazione

Le possibili cause che determinano questo fenomeno sono numerose e diverse tra loro: ad esempio, l’aumento dei prezzi dei beni importati, l’aumento del costo del lavoro, l’aumento del costo dei fattori produttivi, dei beni intermedi o delle materie prime in seguito all’aumento della domanda o per altre ragioni, etc. Anche l’introduzione dell’euro appunto, in Italia è stato causa di un aumento dell’inflazione, stimata intorno al 6% annuo, pur se le statistiche Istat (Istituto preposto a controllare l’inflazione) ufficiali non riescono a misurarla molto bene. Tali statistiche infatti, se da una parte monitorano soltanto i prezzi del bene più venduto di ciascuna categoria contenuta nel paniere di riferimento (ad esempio, per l’auto monitorano solo il prezzo dell’utilitaria più diffusa), dall’altra considerano allo stesso modo i beni durevoli con tempi di riacquisto di anni ed i beni di consumo comprati tutti i giorni o quasi. Tuttavia l’aumento dell’offerta di moneta superiore alla sua domanda, per stimolare la richiesta di beni, servizi e investimenti, ancora, è unanimemente considerata dagli economisti il motivo principale dell’incremento dei prezzi nel lungo periodo.

Come si misura l’inflazione?

L’inflazione viene espressa normalmente attraverso i cosiddetti indici dei prezzi e i loro relativi tassi di variazione. Quindi l’indice del prezzo, riferito ad un bene in un certo anno, è il rapporto tra il costo del bene a fine dell’anno e quello rilevato all’inizio dell’anno (generalmente moltiplicato per 100). Naturalmente il discorso appena fatto è riferito al singolo bene; poiché come vuole la stessa definizione l’aumento è generalizzato, conseguentemente noi dobbiamo prendere in considerazione un insieme di prodotti, il cosiddetto paniere. Quindi, è necessario ampliare tale concetto e esaminare un insieme molto ampio di beni, poiché l’inflazione deve misurare la variazione generale dei prezzi.

In caso contrario si dovrebbe parlare di aumento del prezzo di un solo bene o di una sola categoria di beni. In altre parole, bisogna prendere un insieme di beni di consumo abituale per formare il paniere; poi annotare il loro prezzo di partenza e trascorso un determinato periodo che può essere, ad esempio, un anno o un mese, verificare il prezzo finale da loro raggiunto ed effettuarne il rapporto. Per fare ciò occorre immaginare di avere un cestino in cui si mettono i prodotti più comunemente scambiati. Immaginiamo di “misurare” il prezzo complessivo dello stesso cestino in periodi diversi.

La variazione del prezzo del cestino è una misura approssimativa del tasso di inflazione, cioè della variazione nel livello dei prezzi. Si capisce molto bene dall’esempio, che il valore dell’indice di un paniere è influenzato soprattutto da due elementi: i beni che scelgo di mettere nel paniere e le quantità di ogni bene che considero (i cosiddetti “coefficienti di ponderazione”). È evidente che è possibile determinare il valore di infiniti panieri di beni. Ciascuno può, ad esempio, calcolarsi l’indice dei prezzi del gruppo di beni che acquista solitamente.

Per misurare la variazione generale dei prezzi dei beni di consumo, l’Istat utilizza tre valori: l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), l’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (Foi) e l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione europea (Ipca). Ognuno di questi indicatori si differenzia principalmente per il tipo di prodotto che viene considerato nel paniere e per le quantità di ogni bene che vengono considerate. Il tasso di variazione dell’indice dei prezzi è chiamato tasso di inflazione. Attenzione, però, perché quando si sente dire che l’inflazione è diminuita perché, ad esempio, è passata dal 3% al 2%, non significa che i prezzi siano diminuiti.  Ci si riferisce a un tasso di variazione. Quindi, quando il tasso di variazione (tasso di inflazione) diminuisce (ma resta positivo), significa che i prezzi sono comunque aumentati, ma in misura inferiore rispetto all’aumento precedente.

Il tasso di inflazione

Il tasso d’inflazione è un indicatore della variazione relativa (nel tempo) del livello generale dei prezzi e indica il cambiamento del potere d’acquisto della moneta. Viene espresso quasi sempre in termini percentuali. In Italia come dicevamo, viene stabilito dall’Istat. Pur riferendosi ogni volta ad una ben precisa moneta (unità di conto), il tasso d’inflazione può differenziarsi territorialmente. Per cui il fatto che due territori abbiano la stessa moneta non vuol dire che abbiano anche lo stesso tasso di inflazione. I vari panieri utilizzati per calcolare i diversi tassi d’inflazione servono per adeguare la misura al comportamento economico della categoria a cui si riferisce e possono portare a risultati anche di segno opposto.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!