Posta del promotore, investire in Btp

L’iniziativa promossa dall’Abi del “Btp day” (dopo la prima giornata di lunedì 28 novembre è in programma un “bis” lunedì 12 dicembre prossimo), nel quale le banche aderenti rinunciano ad applicare le commissioni di negoziazione agli ordini d’acquisto sui titoli di stato effettuati dalla propria clientela fa emergere le prime perplessità tra i lettori di BLUERATING. “Acquistare Btp, Ctz e altro senza una valutazione finanziaria adeguata, che i risparmiatori non sanno fare, è una pazzia” commenta senza peli sulla lingua un nostro lettore, che aggiunge: “voglio vedere chi gli spiegherà quando i titoli varranno ancora meno”. Viene dunque da chiedersi chi vende e perché, visti i prezzi (e i rendimenti) dei titoli in questione.

Il primo Btp Day secondo i dati da Borsa Italiana, ha visto 86.681 contratti scambiati sul Mot per quasi 2,6 miliardi di euro, pari a un controvalore medio di 32 mila euro per contratto (inferiore al dato medio di queste settimane di 39.500 euro, a conferma dell’elevata partecipazione di investitori retail). Il più scambiato è stato il Bot 31 maggio 2012 (247 milioni di scambi), seguito dal Btp agosto 2013 – 4,25% (137 milioni). Entrambi i titoli offrivano rendimenti molto allettanti, attorno o superiori al 7% lordo: chi ha venduto e perché? Di certo non è stata la Bce, che continua ad accumulare titoli di stato italiani e spagnoli (e così si trasforma, indirettamente, in un fondo hedge che si finanza al tasso dello 0,5% pagato alle banche che lasciano i loro denari in deposito presso Eurotower non fidandosi a imprestarseli tra loro) e investe a tassi elevati.

Anche perché la Bce a differenza delle banche commerciali (e a maggior ragione dei singoli risparmiatori privati) può evitare (come è capitato nel caso dei titoli di stato greci) ogni decurtazione dei rimborsi (“haircut”) che invece può colpire anche pesantemente bondholder privati. Più probabilmente sono stati i maggiori intermediari finanziari italiani (bancari e non), alla ricerca di liquidità, a vendere, per ridurre l’esposizione ad asset “a rischio” e cercare di ridurre la necessità di mezzi freschi con cui rafforzare i coefficienti patrimoniali come richiesto dall’Eba. In cambio di uno 0,3% in meno di commissioni chi ha aderito si è dunque assunto un rischio rilevante.

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