Posta del promotore, tempo di bilanci e oroscopi

Non disponendo di una sfera di cristallo questa rubrica di posta non può pretendere di dirvi che succederà nei prossimi 12, ma solo segnalare speranze o tensioni che emergono dai commenti dei nostri lettori e, talvolta, da dichiarazioni di economisti, gestori, analisti ed esperti di mercati finanziari. Prendete due nomi noti ai più, il celebre gestore Warren Buffett e l’altrettanto noto economista Nouriel Roubini: il primo da qualche tempo sta tornando a fare quello che più gli piace, ossia acquistare partecipazioni in aziende che sembrano avere buone prospettive di sviluppo di fatturato e utili a medio-lungo termine e che al momento trattano su livelli di valutazione certamente non eccessive se non decisamente a buon mercato. Una situazione che negli ultimi anni era mancata tanto che Buffett più di una volta si era lamentato dell’impossibilità di poter garantire per gli anni a venire i risultati ottenuti dagli investimenti effettuati negli ultimi decenni. Il secondo, noto ormai con lo pseudonimo di “Dr Doom” (Dottor Destino), va ripetendo su Twitter e attraverso working paper che il 2012 rischia di essere un anno “caro” solo nel senso di costoso, con un’Europa in recessione, una crescita statunitense “al più anemica” e un marcato rallentamento in Cina e nelle principali economie emergenti.

Mentre le incertezze in Medio Oriente comportano un potenziale rischio di nuove tensioni geopolitiche e rischiano di mantenere elevati i prezzi del petrolio e così pesare ulteriormente sulle già ridotte prospettive dell’economia globale. Il tutto accompagnato, ricorda Roubini, da squilibri delle partite correnti tra Stati Uniti e Cina ed entro l’Eurozona tra paesi “core” e “periferici” che sembrano destinati a rimanere elevati ancora a lungo. Proprio quest’ultimo sarebbe il “padre di tutti i problemi”: l’aggiustamento ordinato di tali squilibri richiederebbe infatti da un lato una minore domanda domestica nei paesi che spendono troppo (un nome a caso: l’Italia) e presentano elevati deficit di partite correnti, dall’altro minori surplus commerciali nei paesi che risparmiano troppo, attraverso un apprezzamento nominale e reale della valuta. Il che per un’area come quella europea che condivide una stessa moneta sembra dover passare per una deflazione interna (ossia facendo scendere prezzi e salari nei paesi in deficit) o attraverso nuovi default. Il tutto evitando di scatenare nuove e devastanti ondate protezionistiche o altrettanto perniciose guerre valutarie. Se il bilancio del 2011 non è particolarmente esaltante né a livello economico o di mercati né per il settore finanziario e del risparmio gestito, il 2012 non sembra promettere molto di più. Per fortuna non crediamo agli oroscopi né all’ineluttabilità del destino “cinico e baro”.

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