Indici USA in cerca di fiducia

I mercati azionari hanno registrato nuovi progressi: l’indice Dow Jones si è attestato su un livello inferiore al 7% rispetto al record storico, mentre il Nasdaq è arrivato sino ai massimi dallo scoppio bolla speculativa della cosiddetta “new-economy” nel 2000. Per contro, sia i mercati europei che quelli emergenti non hanno superato le soglie registrate nella primavera del 2011. I rendimenti obbligazionari sono notevolmente aumentati nelle ultime settimane, facendo ipotizzare l’inizio di un ciclo di rialzo. 

In una prospettiva di lungo periodo “pare inevitabile che i rendimenti obbligazionari siano destinati a salire, tuttavia tendiamo ad escludere l’eventualità di brusche impennate”, questa l’opinione di Joost van Leenders, esperto di strategie e allocazione degli investimenti di Bnp Paribas Investment Partner, emersa all’interno dell’analisi settimanale. I recenti incrementi sono riconducibili soprattutto a un cambiamento delle prospettive della politica monetaria. Negli ultimi tempi, i vertici della Federal Reserve si sono espressi in termini più ottimistici riguardo all’economia americana, ma si sono impegnati a mantenere i tassi su livelli modesti sino al 2014. “Tuttavia la banca centrale degli USA potrebbe essere costretta a cambiare idea”. 

La fiducia delle imprese statunitensi sta tenendo bene, le licenze edilizie hanno registrato un balzo in avanti e il numero dei nuovi cantieri è salito su base annua. Le condizioni meteorologiche relativamente miti hanno frenato la produzione industriale, ma l’attività manifatturiera è cresciuta ancora. “Tuttavia, di recente si è registrato un indebolimento della fiducia dei consumatori, probabilmente riconducibile al rincaro dei carburanti, i nuovi ordinativi industriali sono risultati inferiori alle attese e le imprese edili si sono mostrate più prudenti sulle proprie prospettive. Nel complesso, l’economia dovrebbe continuare a salire sebbene in misura modesta”. 

Gli osservatori si interrogano sull’entità dei margini di capacità inutilizzata dell’economia USA, e sulle eventuali conseguenze per le pressioni inflative e la necessità di un inasprimento dei tassi. La percentuale della popolazione in età lavorativa che ha un impiego o ne cerca attivamente uno è relativamente bassa. “Questo dato potrebbe rappresentare un problema strutturale, visto che la forza-lavoro invecchia ed aumenta il numero dei lavoratori disabili. In prospettiva, è possibile che il tasso di disoccupazione continui a scendere rapidamente grazie al miglioramento dell’economia, ma ciò implica che la Fed attualmente sovrastima la disoccupazione futura e potrebbe essere costretta ad innalzare i tassi prima del 2014”.

Nell’Eurozona l’inflazione complessiva si è mantenuta stabile per il terzo mese consecutivo “e a nostro avviso un’eventuale riduzione dei tassi a breve è poco probabile”. 

Considerato che verosimilmente “la crescita rimarrà su livelli modesti negli USA, mentre l’Eurozona è in recessione e deve affrontare delle misure di austerità, escludiamo che si possa verificare un netto incremento dei rendimenti obbligazionari”. Inoltre, il debito (privato e pubblico) al momento si attesta su livelli medi elevati sia nell’area dell’euro che negli USA, e ciò rende queste economie molto sensibili ad un eventuale incremento dei tassi. “I nostri modelli di valutazione, basati sull’inflazione attesa e sui tassi ufficiali, suggeriscono che i rendimenti obbligazionari in Germania e negli USA, rispettivamente al 2% e al 2,5%, al momento sono vicini al valore equo”.

La banca francese ha chiuso la posizione sovrappesata nelle obbligazioni inflation-linked
, dopo che un’impennata di breve periodo dei prezzi del greggio si è rivelata sfavorevole per tale ponderazione. “A nostro avviso le prospettive di medio termine relative nell’area dell’euro giustificano ancora un sottopeso in questa tipologia di attivo. Questo atteggiamento prudente è stato suggerito anche dal forte peso dell’Italia nel principale indice delle obbligazioni indicizzate all’inflazione, tuttavia il miglioramento della situazione italiana ha fatto diminuire i rischi”. 

“Abbiamo realizzato i profitti maturati sul debito dei paesi emergenti in dollari USA. Infatti, secondo i nostri esperti le misure protezionistiche mirate a frenare l’afflusso di capitali stranieri o ad indebolire le valute locali faranno diminuire la domanda di obbligazioni emergenti e potrebbero persino determinare un deflusso di investimenti. Restiamo ottimisti su questo attivo alla luce dei solidi fondamentali dei paesi emergenti, ma al momento riteniamo che sia prudente limitare la nostra esposizione”. 

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