La lezione della vicenda Ligresti

Tiene banco in queste settimane la conclusione (forse) della saga della famiglia Ligresti. Una volta dissolte le nebbie e le tensioni dell’attualità, il caso diverrà oggetto di studio e sarà l’ennesimo esempio di capitalismo all’italiana. Quando si vorranno mostrare i vantaggi (e gli abusi) insiti nel controllo di una società quotata, la vicenda Premafin-Fonsai calzerà a pennello alle necessità didattiche. Al di là delle contingenze, è opportuno porsi una serie di domande e trarre dalle risposte utili indicazioni per provvedimenti da adottare a breve con efficacia immediata o almeno in grado di incidere sulla nostra dissestata economia “sedicente” di mercato. Nel caso Fondiaria Sai sembra che non manchi nulla: dai compensi (sproporzionati) percepiti dall’azionista di maggioranza in qualità di consigliere, dalle operazioni immobiliari con il gruppo di appartenenza, fino ai vitalizi, ai contratti di consulenza per l’immagine a membri della famiglia o all’acquisto in leasing di cavalli o altri beni “indispensabili” alla sviluppo dell’attività assicurativa.

Veri o inventati, non sono tanto questi i fatti sui quali concentrare l’attenzione; provvederà, ove del caso, la magistratura. Il punto essenziale riguarda l’efficienza dei controlli preventivi. Le aziende italiane, e in particolare quelle quotate, sono assediate dai controlli: da quelli interni del collegio sindacale, dell’organismo di vigilanza, della società di revisione, per arrivare a quelli pubblici di Consob, Isvap, Borsa Italiana e tutte le altre autorità poste a tutela di qualche principio od obiettivo. Qualcuno ha calcolato una ventina di forme di controllo. Nel caso di specie, cosa hanno fatto costoro? Possibile che nessun consigliere abbia riscontrato qualcosa di anomalo nelle condotte della società? Per non parlare di sindaci e revisori che hanno il compito specifico di controllare i fatti della gestione. Anche le autorità sono state palesemente assenti. Non appare giustificabile che emerga improvvisamente dai bilanci della società un buco da un miliardo senza nessun cenno di allarme preventivo o di indagine da parte dell’autorità.

E sì che le occasioni non sono mancate. Il gruppo è cresciuto soprattutto grazie ad acquisizioni effettuate senza opa e con il benevolo consenso di chi controlla il mercato di Borsa e assicurativo. Nessun grido di allarme è mai stato lanciato dai vigilantes. A fronte di questo atteggiamento “distratto” nella fase di formazione del gruppo, appare molto dubbia anche la strana voglia del “sistema” di correre a salvarlo, quasi che Premafin- Fonsai nascondesse un tesoro di incommensurabile valore. L’Italia è probabilmente il Paese con il maggior numero di controlli con un’efficacia inversamente proporzionale.

Non è efficiente mantenere in piedi strutture che non raggiungano gli obiettivi che la legge assegna loro. La logica vorrebbe che ciò che non funziona sia eliminato. In questo clima di semplificazioni e liberalizzazioni (insufficienti, ma sacrosante), di eliminazione di atti e procedure inutili, è necessario riflettere sull’opportunità di mantenere in p i e d i un castello di norme che occupa tante risorse, ma non produce alcun risultato concreto. Questo non significa affatto l’eliminazione dei controlli. Che, al contrario, vanno rafforzati. I controlli devono essere concentrati sui punti sostanziali ed essere resi efficienti, per esempio tutelando i controllori interni e riconoscendo la figura dei “suonatori di fischietto”, una sorta di delatori interni.

Una semplice ricognizione statistica può dimostrare l’utilità o l’inutilità di alcuni organi: per esempio, quante truffe sono emerse per intervento del collegio sindacale. Altro punto essenziale è la selezione delle persone. Non è facile fare controlli: c’è da evidenziare che la competenza e soprattutto le qualità caratteriali sono indispensabili per svolgere con efficienza i controlli. A questo punto, qualche piccolo intervento in materia sarebbe più produttivo della riforma dell’articolo 18.

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