Il problema dell’euro? È la leva

Secondo due noti economisti americani, Peter Boone e Simon Johnson, man mano che il dissenso sociale obbligherà ad allentare l’austerità, la sopravvivenza dell’euro sarà maggiormente a rischio. Volendo usare una metafora, l’euro è una malattia contagiosa che condanna almeno una generazione di greci, italiani, spagnoli, portoghesi e irlandesi nell’infermeria economica. In queste nazioni, i tassi di disoccupazione sono ai livelli più alti degli ultimi decenni, e non si intravvedono segnali di ripresa economica. Gli economisti e i politici che hanno creato il sistema continuano ad annunciare che l’euro sopravviverà. Forse dovrebbero riconoscere di aver fatto degli errori e prepararsi a uno smantellamento della divisa unica in modo ordinato, prima che i danni potenziali crescano e minino ancor di più l’unità europea.

Europa sì, Europa no
Da circa tre anni, il capitale affluisce dalla periferia dell’Europa alla Germania. Le banche più solide con maggiori possibilità di erogazione del credito, il mercato del lavoro più competitivo e le sane politiche fiscali hanno fatto di questo Paese la location ideale per gli investimenti in Europa. Al contrario, le banche dei Paesi periferici stanno pesantemente contraendo il credito ai settori produttivi, i loro governi stanno tagliando i bilanci e le proteste sociali aumentano. I salari sono troppo lenti per adeguarsi a queste forze di mercato: la Germania diventa sempre più attraente per gli investitori, esasperando ancor di più gli squilibri che hanno condotto fino a questo punto. Tutti guardano alla Banca centrale europea. Molti analisti sperano che una politica monetaria più accomodante e maggiori tassi di inflazione possano rappresentare un’ancora di salvezza. Ma l’uso di strumenti di politica monetaria per raggiungere obiettivi di tipo fiscale spesso non funziona, e non può aumentare la competitività della periferia europea. I politici europei e la Bce hanno siglato un patto lo scorso anno secondo cui le banche, con la liquidità fornita della banca centrale, hanno comprato debito pubblico. In contropartita, la Bce ha richiesto ai governi nazionali di rispettare l’austerità fiscale. Finora, i risultati sono stati a dir poco allarmanti.

La dieta non ha funzionato
La Bce ha sicuramente una maggiore potenza di fuoco da mettere in campo, e probabilmente lo farà. È normale prevedere un sensibile incremento delle politiche seguite finora, che in ultima analisi risulteranno in un’offerta di credito illimitato alle banche per far galleggiare i mercati del debito sovrano. Francoforte chiederà ancora austerità per ridurre l’ammontare di credito e liquidità che dovrà immettere nel mercato, già pesantemente a leva. Ma i governi democraticamente eletti possono benissimo rifiutare di rispettare queste prescrizioni, e a questo punto è molto probabile che i leader lo facciano

. La banca centrale getterà in mare le sue credenziali di lotta all’inflazione e inizierà a “pregare” affinché la liquidità necessaria per mantenere in vita le nazioni in difficoltà non sia troppo elevata. Ma è proprio qui il problema: perseguire una tale politica monetaria significa causare una pericolosa perdita di fiducia nell’eurosistema. Il sistema finanziario europeo ha una leva tale che può dimostrarsi troppo fragile anche per modesti incrementi del rischio percepito di collasso dell’euro. Per esempio, quale tasso di interesse verrebbe richiesto su un bond a 10 anni denominato in euro se si ritenesse sempre più probabile che l’euro diventi un basket di divise, alcune delle quali con alta inflazione (per esempio, il 15% per la dracma greca e la lira italiana) e altre, come il nuovo marco tedesco, a bassa inflazione (per esempio, il 2%)? Ad oggi, ci sono 8,5 trilioni di euro di debito sovrano dell’area euro outstanding, e più di 180 trilioni di dollari in derivati legati ai tassi di interesse dell’area. Se i tassi di interessi aumentano, i prezzi dei bond diminuiscono, e i derivati variano di prezzo. Chi ha posizioni importanti in previsione di tassi di interesse bassi e duraturi sarebbe esposto al rischio di default.

Uno shock mica male
Questo tipo di sconquasso potrebbe creare un’instabilità almeno pari a quella osservata nel periodo seguente il collasso di Lehman Brothers nel settembre del 2008. Finora, ogni volta che la situazione nell’area euro si è aggravata, gli investitori sono corsi verso i titoli tedeschi, olandesi e francesi. Finché i flussi di capitale rimangono nell’area euro, il valore del cambio non crolla. Di recente, tuttavia, il numero delle nazioni in difficoltà è aumentato e cospicui flussi di capitale hanno lasciato l’area. Gli investitori esteri stanno mostrando segni di impazienza. Il fondo sovrano norvegese ha recentemente dichiarato che continuerà a ridurre le posizioni negli asset dell’area euro. Ha anche criticato il trattamento iniquo dei fondi sovrani, che sono stati obbligati ad accettare il taglio del debito greco mentre sia la Bce sia la Banca europea degli investimenti ne sono uscite in profitto. Che cosa succederà? L’euro si svaluterà via via che i capitali usciranno dall’area, ma questo non risolverà i cronici problemi di diseguaglianza dell’Europa. In sostanza, la svalutazione dell’euro rappresenta un modo poco trasparente per addossare ai tedeschi il costo dell’esperimento valutario fallito, ma gli investitori continueranno comunque a preferire la Germania rispetto alla Grecia. Ciò aumenterà il rischio che gli europei e gli investitori internazionali perdano fiducia nell’euro, provocando il caos nei mercati finanziari dell’area, amplificato dall’elevata leva che li caratterizza. Per i politici europei, il compito più importante in questo momento è coprire i loro errori e accusare altri decisori, in particolare le istituzioni di governo europee e la Bce. L’Eurotower in particolare, sotto la guida del presidente Mario Draghi, sarà sotto maggiore pressione per prendere azioni che creino inflazione. Questo può portare a un’accelerazione verso l’Armageddon: la fine dell’euro.

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