Posta del pf: Moody’s taglia il rating italiano, che fare?

L’ex premier italiano Silvio Berlusconi preannuncia un suo “ritorno in pista” e Moody’s taglia di due livelli il rating del debito pubblico italiano, da A3 a Baa2 (a soli due scalini sopra il livello “junk”, “cartaccia” che rischierebbe di far collassare i Btp italiani e metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa dell’euro). Immediate le reazioni stizzite del mondo politico (tanto da parte del governo e della maggioranza che lo sostiene, quanto dell’opposizione) e il timore espresso dagli investitori che la mossa, che pare peraltro giungere con ampio ritardo come da tradizione con le agenzie di rating, possa definitivamente allontanare gli investitori dai titoli di stato italiani, rendendo non più sostenibile un debito pari a 1,2 volte il Pil, tanto più in uno scenario macro in cui il Pil è in calo e su cui pesa l’esigenza di risanare i conti con manovre “pro cicliche” e dunque per propria natura recessive, sia che riguardino tagli alla spesa sia che prevedano l’ulteriore crescita delle entrate fiscali.

Così qualche promotore si arma di carta e penna (anzi di mail) e ci chiede: è solo speculazione, o un’ingerenza indebita negli affari interni di un paese sovrano? E quali conseguenze per i tanti risparmiatori italiani che proprio in titoli di stato (direttamente o attraverso fondi, sicav e gestioni) hanno investito i propri capitali? Lasciando stare ai romanzieri le interpretazioni più “complottiste” che tanto piacciono a parte dell’opinione pubblica ma poco sanno rappresentare la realtà della finanza moderna, nonostante tutto i mercati sembrano aver tenuto, confermando che la mossa per quanto “improvvisa” era nell’aria già da settimane (bastava del resto vedere il livello a cui è nel frattempo ritornato tanto il rendimento del Btp decennale guida, attorno al 6%, quando lo spread contro Bund, stabilmente sopra il 4,5% nonostante la continua azione della Bce abbia favorito un ulteriore calo dei tassi sul mercato interbancario con un Euribor a 3 mesi ormai ben al di sotto dello 0,5% lordo annuo (e mentre la stessa Bce ha tentato di disincentivare il mantenimento dei capitali bancari presso i propri depositi overnight azzerandone il rendimento).

La crisi è alle spalle e si può tornare a consigliare agli investitori di comprare Btp (e strumenti obbligazionari dell’area euro in genere) a piene mani? Non proprio, perché lo scenario macro resta a dir poco fragile e perché come ricorda la stessa Moody’s con l’avvicinarsi del voto della prossima primavera lo scenario politico italiano è destinato a rimanere “fonte di un aumento dei rischi”, specie in tema di riforme strutturali e ristrutturazione della spesa pubblica, tanto che gli esperti americani hanno confermato un outlook negativo, il che potrebbe tradursi in nuovi ribassi del rating sovrano nei mesi a venire, col rischio di una “sindrome greca” anche per il Belpaese. Certo, i rendimenti sono attraenti e la tentazione di aprire qualche scommessa è forte, ma la prudenza sembra destinata a rimanere la migliore compagna di viaggio ancora per molti mesi, salvo chi voglia consapevolmente rischiare di più per cercare di portare a casa un risultato più robusto. Ma forse a quel punto un’asset allocation non troppo sbilanciata sull’Italia e che preveda anche strumenti azionari e valutari potrebbe garantire, per chi può proporre ai suoi clienti architetture aperte e costi competitivi, un ritorno meno volatile e in ultima analisi più soddisfacente.

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