Il private banking nell’era di Facebook e dei passaggi generazionali

INTERNET E INVESTIMENTI, BINOMIO INDISSOLUBILE – Secondo una indagine di Scorpio Partnership, una società di consulenza inglese che ha come obiettivo la comprensione dei comportamenti dei milionari, a livello mondiale l’82% degli high net worth individuals (le persone con attivi finanziari superiori a un milione di dollari) è connesso a Facebook, il 42% a Twitter e il 24% a LinkedIn. I milionari oggetto del sondaggio dedicano in media 5,3 ore alla settimana ad attività online collegate in qualche modo ai propri investimenti. I clienti private sono ambiziosi, digitali e sempre più importanti nell’espansione dei volumi per il loro ruolo di referrals. L’Italia è molto probabilmente in ritardo su questo fenomeno, ma il passaggio epocale da un benessere basato su un reddito crescente per motivazioni insostenibili a uno fondato sull’amministrazione dei patrimoni accumulati, unitamente al crollo senza precedenti della fiducia nell’investimento immobiliare e al tramonto di numerosi paradisi fiscali e piazze offshore impongono maggiore attenzione da parte dei privati benestanti nella cura alle proprie ricchezze.

NON CONVIENE MAI ESSERE LOW-TECH – Come dovrebbero muoversi allora i consulenti finanziari e i private bankers? “I clienti ricchi che non hanno mai usato un iPad sono moltissimi – ha scritto il direttore di Scorpio, Sebastian Covey -, ma restare low-tech e contare solamente su questa fascia di mercato significa perdere una grande opportunità”. Tradotto in italiano questo significa: è vero, da noi la maggior parte dei clienti private ha una sorprendente arretratezza culturale rispetto alla tecnologia e ai temi finanziari. “Fammi guadagnare senza perdere soldi” è un’attesa abbastanza comune.


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