Se la primavera porta con sé la Bad Bank

LA BAD BANK – Sembra scontato che quest’anno la primavera porterà con sé la Bad Bank. In sostanza, come ha detto Alberto Nagel presentando la trimestrale di Mediobanca, si tratta di creare “buone opportunità per le banche che vogliono de consolidare i non performing loans e anche associarsi al business dei prestiti problematici e fare in modo che gli investitori possano investire anche in questa classe di attivi”. Insomma, l’affare lo fanno le banche, gli operatori che acquistano a basso prezzo i crediti a rischio e, magari, i finanziatori delle operazioni. Ma non le piccole e medie imprese debitrici. La soluzione Bad Bank è un’opera di chirurgia che non risparmia né i debitori e nemmeno le imprese che potrebbero superare la crisi e che, spesso, si sono incancrenite per la miopia del sistema bancario, incapace di assumere iniziative rapide ed efficaci.

IL CASO DELLE IPOTECHE SUGLI IMMOBILI – Prendiamo il caso delle ipoteche sugli  immobili: perché le banche, a fronte di situazioni che minacciano di trascinarsi all’infinito o di avviarsi verso un probabile default, con conseguenti aste giudiziarie che quasi azzerano i valori, non rilevano direttamente il bene in garanzia chiudendo rapidamente la pratica? Ovviamente se l’immobile è “strumentale” dovrebbe essere affittato all’azienda. Il vantaggio in termini di tempo e di minori spese sarebbe cospicuo. Ancor più importante: perché non estendere alle piccole e medie imprese la strategia che viene adottata solo per i grandi gruppi? Mi riferisco alla possibilità di trasformare i crediti o anche dare nuova finanza con i cosiddetti strumenti partecipativi; invenzione recente che altro non sono che azioni senza alcun diritto di voto salvo che per specifiche operazioni. Naturalmente l’operazione ha un senso per le imprese economicamente sane, che possono avere prospettive di ripresa. Come individuarle? La via maestra passa dall’impegno e dalla convinzione degli imprenditori.

CONSOLIDARE IL PATRIMONIO DELLE PROPRIE AZIENDE – Si potrebbe suggerire, prima di trasformare i crediti in azioni, strumenti partecipativi o warrant, che gli imprenditori consolidino il patrimonio delle proprie aziende sottoscrivendo un aumento di capitale. Ovvero, merita fiducia solo chi dimostra nei fatti di credere nella capacità di ripresa della propria azienda. In questo modo si potrebbe contribuire a correggere un vizio storico del nostro capitalismo abituato ad operare solo con il finanziamento di terzi, vedi le banche. Mi sembra una soluzione semplice, che può garantire la continuità aziendale e nel tempo gratificare anche le banche. E sono certo che molti imprenditori sarebbero disposti ad aderire a piani di questo tipo. Ma, sulla base della mia esperienza professionale posso dire che nessuna banca ha mai fatto una proposta concreta anche di tipo diverso… nessuna decisione viene presa, tutto viene rinviato e l’azienda soffre. Eppure si tratterebbe solo di applicare alle aziende piccole e medie la stessa ricetta che si è adottata per esempio per Tassara o Risanamento, società in sofferenza oggi a maggioranza delle banche ex creditrici. Con una differenza: i grandi debitori non sono stati chiamati a fare sacrifici e neppure a fornire garanzie.

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