Per Banca Arner i guai non finiscono

BANCA ARNER – Continua a costare molto caro alla casa madre svizzera ripianare in Italia le perdite di Banca Arner, banca privata che gestisce parte del patrimonio di Silvio Berlusconi e di Ennio Doris, controllata italiana dell’omonimo istituto creditizio elvetico. Pochi giorni fa, infatti, a Milano nello studio del notaio Filippo Laurini si è svolta un’assemblea straordinaria della banca che ha dovuto ripianare la perdita 2013 pari a 3,7 milioni di euro dopo che il bilancio precedente s’era chiuso in rosso per 6,1 milioni e nel 2011 il passivo era stato di 5,2 milioni. Il disavanzo è stato coperto in minima parte (14.250 euro) dall’uso della riserva, per 1,4 milioni dai versamenti per futuro aumento di capitale effettuati nel 2013 dalla controllante svizzera, mentre i restanti 2,3 milioni sono andati a riduzione del capitale fissato precedentemente a 8,4 milioni. Lo stesso capitale è stato successivamente reintegrato a 7,6 milioni, con versamento di 1,25 milioni subito effettuato dalla casamadre elvetica.

AUMENTO DI CAPITALE – Come se non bastasse Banca Arner ha deliberato un ulteriore aumento di capitale di 2,5 milioni: e anche in questo caso la holding svizzera ha immediatamente ritirato fuori il portafoglio. La branch italiana dell’istituto di credito svizzero, oggi presieduta da Andrea Conso, partner dello studio Annunziata, era stata suo tempo commissariata dalla Banca d’Italia. Qualche giorno fa, nell’ambito dell’inchiesta sul crack Sopaf che ha portato agli arresti dei fratelli Magnoni (Aldo, Giorgio e Ruggero) è stato arrestato Andrea Toschi, ex presidente di Banca Arner. E in primavera si è chiuso a Milano con cinque condanne il processo che vedeva tra gli imputati Nicola Bravetti, uno dei fondatori di Banca Arner, condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione, assieme all’imprenditore siciliano Francesco Zummo a 4 anni, alla moglie Teresa Macaluso (3 anni e 4 mesi), Laura Panno (2 anni) e l’avvocato d’affari Paolo Sciumè (2 anni e 8 mesi), peraltro recentemente condannato in Cassazione per il crack Parmalat. L’accusa nei confronti degli imputati era di intestazione fittizia di beni per circa 13 milioni di euro.

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