Draghi, per favore, ci pensi Lei

Eccellentissimo professor Mario Draghi, come Lei ben saprà l’Italia, una volta, era chiamata il Belpaese. Una volta, appunto. Ora è solo il Paese di Pinocchio e Pulcinella, delle caste e sottocaste, dei privilegi che vanno e dei privilegi che verranno, delle riforme strillate e mai fatte, delle discriminazioni persino tra poveracci che prendono 80 euro e poveretti che non li prendono. Qualunque persona di buon senso fa fatica a vedere come si possa uscire dalla crisi. In autunno farà caldo, con una manovra inevitabile di cui solo Lei conosce le dimensioni reali. Ha scritto qualche anno fa Michele Morrocchi, fine intellettuale, in una immaginaria (come questa) lettera al segretario dell’Onu: “noi italiani, dopo 150 anni, stiamo prendendo atto che fu un errore pensarsi liberi e non come dicono quelli della Lega pensarsi ‘uni’. Per questo siamo a volgerle questa precisa richiesta: affidi il governo dell’Italia a una qualche potenza straniera. Scelga lei quale. A noi da secoli di Franza o Spagna ci accontentiamo”. Le dirò di più, spettabile professor Draghi. A questo punto ci vanno bene anche i tedeschi, a condizione che si comportino meglio dell’ultima volta. Ma anche loro hanno capito. E, soprattutto, non sono più quelli. C’è bisogno di qualcuno che ci dia una bella addrizzata, cinque anni e poi torniamo noi a governare, ma dopo che ci hanno fatto vedere come si fa. Proprio Lei, mister Draghi, ci ha indicato quali sono le riforme da attuare: competitività, produttività, aumento della base occupazionale, equità sociale: la Spagna si è mossa e ha ricominciato a crescere. Noi abbiamo perso mesi per trasformare il Senato nato ai tempi di Roma in un circolo ricreativo per sindaci e consiglieri regionali che, evidentemente, hanno poco da fare a casa loro se pensano di trascorrere le giornate a Palazzo Madama. Allora, per cortesia, ci faccia invadere. Oppure venga Lei. Qui in Italia ci vuole qualcuno che in economia sappia almeno distinguere una cambiale da un assegno.

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