L’ondata di vendite? Colpa degli umori

UN’ONDATA DI VENDITE MASSICCIA – Da più di due anni non assistevamo ad un’ondata di vendite così massiccia. Colpa dei fondamentali? Assolutamente no, visto che i dati non sono peggiorati. Dell’umore degli investitori? Decisamente sì. Chi in passato si è scottato con l’acqua calda, oggi teme anche l’acqua solo un po’ tiepida, senza analizzare i veri rischi e le eventuali alternative di investimento. Volatilità di umori e quindi di prezzi. Guardiamo al mercato statunitense, per esempio. Gli indici di crescita sono buoni, a partire dai dati sull’occupazione, sui sussidi di disoccupazione, sulla fiducia dei consumatori, fino a quelli sulla produzione industriale. I consumi aumentano e soprattutto nei prezzi ci scaricherà l’effetto della riduzione dei prezzi petroliferi e le stime dicono che un eventuale calo del Pil in Europa avrebbe un limitato impatto sul Pil statunitense, non più dello 0,1%. Non è un male che i mercati prevedano aspettative più ridotte della crescita mondiale. Ogni sorpresa in positivo darà nuova spinta a rialzi e recupero.

I RISULTATI DEGLI STRESS TEST -  Resta per ora in negativo, sui mercati europei, l’effetto analisi dei risultati degli stress test. Anche se la prima reazione dei mercati sembra non essere in linea con una analisi sincera. Partiamo dalla situazione di un anno fa. Le banche non sufficientemente capitalizzate erano 25, per un fabbisogno superiore ai 24 miliardi di euro. Oggi le banche che risultano non essere sufficientemente capitalizzate, dopo le azioni messe in atto durante il 2014, sono solo 13 e il fabbisogno totale è sceso a 9 miliardi. Anziché reagire in positivo, i mercati hanno dato maggior peso a critiche, a volte non fondate, sulla severità dello stress test: previsione troppo ottimista sulla possibile contrazione del Pil indicata nel -1,5%, previsione di recessione ma non di deflazione, nessuna tenuta in conto del congelamento del credito, eccetera. Ma sui meccanismi dei test si può discutere all’infinito, e provare a smontarli con critiche più o meno attendibili. Si è scelta da tempo una strada, e allora atteniamoci a quella. Certo è amaro constatare che su 25 banche non sufficientemente capitalizzate nel 2013, più di un terzo, cioè 9, fossero italiane. Ma anche in questo caso ritengo che debba prevalere la fiducia in ciò che si è fatto e che sicuramente si riuscirà a fare.

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