Promotori, gli anni di vacche grasse non dureranno per sempre

IL CONVEGNO ASSORETI – “Le reti – Un modello industriale al servizio della consulenza agli investimenti” è il titolo del convegno di fine maggio con il quale Assoreti festeggia i 30 anni della sua attività. I motivi per celebrare l’anniversario ci sono tutti. Il 2014 è stato davvero un anno d’oro per le reti di promotori finanziari e private banker. Un numero su tutti: se prendiamo in esame le prime cinque realtà del settore (Banca Fideuram, Mediolanum, FinecoBank, Banca Generali e Azimut) vediamo che hanno registrato un utile netto complessivo di quasi 950 milioni di euro.

BUONE RAGIONI PER FESTEGGIARE – Per festeggiare, insomma, c’è un miliardo di buone ragioni. E ciò a dispetto di segnali contradditori che giungono dalle province del comparto, come i tempi lunghi del progetto della rete in casa Banca Popolare di Milano o talune criticità latenti di Widiba, l’integrazione pf-banca online di Mps. Ci sono infatti ottimi motivi per immaginare che il cammino di successo possa proseguire. Tanto che lo scorso marzo le reti hanno raccolto oltre 3,1 miliardi, nuovo massimo mensile dal 2010. Per i fondi, infatti, l’Italia è davvero il paradiso. Lo certificano i dati contenuti nel report recente di Cerulli Associates che ha preso in esame 35 case di gestione. Secondo l’analisi circa il 60% dei grandi asset manager internazionali programma per quest’anno di intensificare la sua campagna vendita in Italia, dopo il +37% segnato nel 2014. Medesimo focus sarà applicato sul mercato francese e spagnolo.

TEMPI DI CAMBIAMENTO
– “Il mercato italiano dei fondi comuni”, dice a questo proposito Sergio Albarelli, senior director per Sud Europa e Benelux di Franklin Templeton, “sta vivendo tempi di gande cambiamento. I promotori finanziari sono diventati molto più proattivi e flessibili nel rispondere alle esigenze dei clienti. Gli investitori italiani, in un contesto di tassi bassi, sono alla ricerca di prodotti sempre più sofisticati, come i fondi multi-asset e con obiettivo di rendimento”. “Gli investitori italiani”, osserva Lorenzo Alfieri, country manager Italia di Jp Morgan Asset Management, “non sono più interessati a puntare su liquidità, titoli governativi o immobiliare. Le reti di vendita stanno così spingendo gli investitori a puntare sui prodotti del risparmio gestito dove la consulenza può offrire opportunità di guadagno”. Tutto bene? Non proprio.

LA PANCIA E’ PIENA – Osservando il settore così in salute, infatti, non solo dal punto di vista della raccolta e degli utili, ma anche della capitalizzazione borsistica di alcune realtà, si ha l’impressione che – forse – la pancia è davvero piena. E quando non si ha più fame si corre il rischio di dormire sugli allori. Non c’è dubbio, ad esempio, che non basta una piattaforma tecnologica per intercettare fin d’ora la potenziale nuova clientela dei 30-40enni che tra pochi anni saranno i detentori della ricchezza. I promotori sono invecchiati coi loro clienti, grazie a loro guadagnano bene e non hanno motivi per cercarne altri. Tant’è che nel 2014 il numero medio di clienti di un pf è aumentato solo di 165 unità rispetto all’anno prima. Per non parlare della quasi nulla – con poche eccezioni – vocazione internazionale dei nostri player, convinti davvero che il “polmone” del risparmio italiano continuerà a garantire commissioni all’infinito. Ecco perché festeggiare va bene. A condizione di non pensare che sono garantiti altri 30 anni di vacche grasse

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