“Voluntary disclosure”, la strada è tutta in salita

UN TESORO SFUGGITO ALL’ERARIO – Sei miliardi di euro sono una cifra importante, tanto più importante per dare una boccata d’ossigeno ai conti pubblici che, com’è noto, sono sotto stress da anni. L’importo rilevante è quello che il governo italiano presumeva di poter ricavare entro la fine di quest’anno dalla legge sulla “voluntary disclosure”, cioè “collaborazione volontaria”. Si tratta della normativa introdotta qualche mese fa che disciplina il rientro in Italia dei capitali di quei nostri connazionali evasori che hanno portato soldi all’estero nel corso degli anni passati, depositandoli nei Paesi denominati “paradisi fiscali”. La Banca d’Italia, in un calcolo che sembra fatto più per sottrazione che per addizione, ha stimato che questo tesoro finora sfuggito alle maglie dell’erario di casa nostra vale almeno 200 miliardi di euro.

GLI ANNI DEGLI SCUDI FISCALI – I governi passati avevano cercato di mettere le mani su questo bendidio attraverso il meccanismo dei cosiddetti “scudi fiscali”. In altre parole, il contribuente poteva far rientrare i soldi dall’estero in Italia pagando al fisco di casa nostra solo una percentuale minima, intorno al 5%. In cambio di ciò, avrebbe avuto la garanzia di poter conservare l’anonimato e di non avere più in futuro, su quest’argomento, contestazioni da parte dell’Erario. Gli scudi fiscali, nonostante le critiche sul modo, si sono succeduti nel corso degli ultimi vent’anni con buoni risultati, ma non tutti i capitali sono tornati al di qua dei confini nazionali.

LA FINE DEL SEGRETO BANCARIO SVIZZERO – Poi qualcosa è cambiato a livello mondiale, quando la lotta all’evasione fiscale si è fatta planetaria da parte di governi alle prese col risanamento dei propri bilanci pubblici. Gli Stati Uniti hanno dato una svolta quando hanno messo sotto accusa Ubs, la più grande banca svizzera, costringendola – pena la revoca della licenza bancaria – a pagare una multa di 800 milioni di dollari e rivelare i nomi di 5.000 americani che usavano quell’istituto per esportare capitali dagli Usa. Il fino ad allora blindato segreto bancario svizzero è caduto e da lì poi il Paese ha fatto accordi di scambio di informazioni fiscali con tutte le altre nazioni, Italia compresa.

COSA NON STA FUNZIONANDO – La “voluntary discosure” italiana termina a fine settembre. Ma a due mesi dalla scadenza dell’appuntamento cruciale, i risultati finora ottenuti sono modesti: circa 2.000 procedure avviate con l’Agenzia delle Entrate per 300 milioni di imponibile. Una bazzecola. Cosa non sta funzionando? La procedura è oggettivamente complessa per banche e intermediari e le incertezze normative sono ancora troppe. Una fra tutte è il cosiddetto “raddoppio dei termini di accertamento”: cioè una volta presentata la pratica quanto può spingersi indietro negli anni l’Agenzia per fare ulteriori verifiche e quindi aumentare di fatto il costo finale della dichiarazione per il contribuente. Data ormai per certa – visti i risultati – una proroga del termine di fine settembre, è urgente che questi intoppi vengano risolti al più presto dall’Agenzia e che chi ha evaso possa far rientrare i capitali e pagare. Ne va non solo dei conti pubblici, ma dell’equità fiscale per tutti i contribuenti onesti. Ai quali non basta dare in pasto un Raoul Bova presunto evasore.

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