Consulenti: come essere pronti a gestire una crisi

La grande crisi iniziata nel 2008 ha profondamente rivoluzionato il modo di vivere e pensare i servizi di consulenza finanziaria e la professione stessa di consulente. Si può dire che essere professionisti prima del 2008 e esserlo dopo è una cosa piuttosto differente. In primis per la consapevolezza della totale imprevedibilità dei mercati: il mito del guadagnare facile è morto e ha lasciato sul campo un esercito di cadaveri di yuppie.

Per questo essere pronti a gestire una potenziale crisi diventa elemento essenziale del bagaglio tecnico di un professionista. Per dare qualche spunto di approfondimento di tal senso, vi presentiamo di seguito un’analisi a cura di Philippe Ithurbide, Global Head of Research di Amundi. Vediamo insieme quali potrebbero essere i fattori generanti di una futura crisi, in modo tale da studiare in anticipo possibili mosse. Sperando che il 2008 rimanga solo un brutto ricordo.

Cosa potrebbe scatenare la prossima crisi (sempre che ci sia)? I fattori potenzialmente scatenanti sono numerosi.

(1.) Un repricing dei premi per il rischio determinerebbe delle fasi di maggior volatilità, tassi d’interesse a breve e a lungo termine più alti, ampliamento degli spread del credito e senza dubbio frequenti cali dei mercati azionari, a meno che non ci sia un’ulteriore espansione del ciclo di crescita e delle prospettive degli utili.
(2.) Uno shock inflazionistico: i tassi d’inflazione sono dappertutto, o quasi dappertutto, inferiori all’obiettivo delle banche centrali. A meno che non intervenga uno shock petrolifero o che non ci sia una volontà politica che porti a una politica salariale radicalmente diversa, è difficile immaginarsi una repentina fiammata dell’inflazione. L’attuale funzionamento dei mercati del lavoro sembra anzi andare nella direzione opposta: tuttavia potremmo risentire di una ripresa delle aspettative d’inflazione.
(3.) Uno shock da politiche monetarie: la politica monetaria spesso fa da miccia alle crisi finanziarie. Nel febbraio del 1994 fu un evento di politica monetaria a scatenare il crack obbligazionario. A metà degli anni Novanta, fu il lassismo monetario della Fed a creare una bolla e poi scoppiò nel 2000. Questa crisi causò addirittura una recessione mondiale con una massiccia riduzione dell’indebitamento delle imprese, perdita di fiducia, calo dei mercati azionari ed effetti negativi sulla ricchezza. Dal 2002 al 2007 furono di nuovo i tassi bassi, unitamente ai premi per il rischio insolitamente contenuti, a causare la bolla del comparto immobiliare, affiancata dallo sviluppo di un processo di cartolarizzazioni a volte dubbie. Tutto ciò sfociò nella pesante crisi finanziaria del 2007/2008 (crisi dei sub-prime, fallimento di Lehman Brothers …) Nel 2013 fu l’annuncio della fine del programma di QE negli USA (e la fine effettiva degli acquisti di attività nel 2014) a provocare il forte calo sui mercati e la recessione in alcuni Paesi emergenti.
(4.) Una delusione sulla dinamica di crescita e inflazione. I mercati finanziari potrebbero sovrastimare sia il tasso d’inflazione, sia quello di crescita. L’attuale ripresa dell’economia (con la crescita superiore al potenziale), le politiche monetarie accomodanti, l’inflazione bassa, i tassi bassi, la volatilità contenuta, (“grande moderazione”) non diventeranno un “nuovo paradigma” ed è probabile che la crescita torni al suo livello potenziale, e ciò ridurrebbe anche i rischi d’inflazione. Il rischio oggi è più basso perché le banche centrali preparano il terreno e non colgono mai i mercati di sorpresa.
(5.) Lo smantellamento delle misure di regolamentazione finanziaria causerebbe indubbiamente un’eccessiva assunzione dei rischi e una compiacenza ancora superiore a quella attuale.
(6.) Uno shock politico o geopolitico: non mancano di certo aree di tensione (Corea, Turchia, Arabia Saudita – Iran, Brexit, aumento dei populismi…), e uno shock inatteso e/o di vasta portata provocherebbe lo scenario più temuto, ovvero il repricing dei premi per il rischio. Un aumento del prezzo del petrolio a seguito delle tensioni in Medio Oriente sarebbe inoltre un elemento scatenante della ripresa delle aspettative d’inflazione più credibile di quanto non lo sia un aumento dei salari.
(7.) Un aumento del protezionismo sarebbe probabilmente disastroso… soprattutto se dovesse portare a una guerra valutaria e a un crollo della globalizzazione. Ciò aggraverebbe il rallentamento dell’economia e creerebbe un circolo vizioso che scatenerebbe una nuova crisi, molto più grave di quella del 2008. Potrebbe essere una crisi economica, finanziaria e politica.

Siamo pronti ad affrontare una crisi finanziaria?

La capacità di affrontare un’eventuale crisi finanziaria può essere valutata rispetto a una serie di criteri:
(1.) La vulnerabilità dei Paesi: ciò che si può dire è che i Paesi emergenti sono attualmente molto meno vulnerabili di quanto non fossero ai tempi della Grande crisi finanziaria del 2008 o ai tempi del tapering del QE da parte della Fed. Crescita più solida, più motori della crescita, miglior saldo delle partite correnti e miglior saldo di bilancio, maggiori riserve valutarie, tassi d’inflazione inferiori agli obiettivi (tranne in Paesi come la Malesia e la Turchia…)
(2.) L’esistenza o meno di margini di manovra fiscale e di bilancio. Alcuni Paesi sono stati capaci di ricreare la flessibilità, come ad esempio la Germania, ma si tratta di casi isolati. Per il resto della zona Euro o degli Stati Uniti ciò è molto meno sicuro. A livello globale, il debito sta crescendo a ritmi più veloci del PIL. Già nel 2008 si pensava che l’indebitamento fosse eccessivo: cosa dovremmo dire oggi? In che modo i mercati finanziari reagirebbero a un rialzo dei tassi di interesse?
(3.) L’esistenza o meno di uno spazio di manovra per le politiche monetarie. Abbiamo visto le banche centrali delle principali economie avanzate molto in ritardo rispetto al ciclo, la banca centrale giapponese più della BCE, e la BCE ben più della Fed. Visti i tassi bassissimi, si potrà ricorrere a nuovi programmi di QE, molto utili in caso di crisi finanziaria e/o quando si profilano delle minacce per l’attività economica.
(4.) I mercati finanziari. Il posizionamento degli investitori e la liquidità. Più le posizioni sono consensuali e/o la liquidità è bassa, e maggiore è il rischio di crollo. Non ci vuole uno shock significativo per causare una flessione del mercato o persino un vero crollo. Quando diminuisce la liquidità, i prezzi diventano molto meno indicativi in termini di informazione perché si allontanano dai loro fondamentali. Inoltre tendono ad aumentare i rischi di contagio e di volatilità, mentre i mercati meno liquidi hanno più difficoltà ad assorbire gli shock. Nel complesso, possiamo vedere individuare problematiche di liquidità e posizionamento sul mercato nell’attuale contesto.
(5.) Lo stato dell’economia. La congiuntura al momento è positiva e questo è indubbiamente un vantaggio. Tutti i motori della crescita sono attivi: consumi, investimenti, commercio mondiale, e le politiche fiscali, di bilancio e monetarie sono piuttosto accomodanti. Nella zona Euro, in Giappone, negli USA o in Cina la crescita è superiore al potenziale.
(6.) I vincoli del debito: è ora evidente che il livello del debito forza o addirittura influenza le politiche economiche, tra cui le politiche monetarie. Mentre il servizio del debito è cambiato poco dal 2005 (in alcuni Paesi è persino diminuito), il debito nominale è aumentato costantemente (è quasi raddoppiato in soli 10 anni). In altre parole, un rialzo dei tassi di interesse solleverebbe nuovi interrogativi sulla solvibilità degli Stati/delle imprese fortemente indebitate. Su questo punto, l’economia mondiale non è di certo pronta ad affrontare una crisi finanziaria.

Tre possibili scenari
Scenario #1: 2018 un altro anno di “grande moderazione” con poca volatilità, stabilità della crescita e dell’inflazione, inflazione bassa (più bassa) e tassi di interessi bassi (più bassi) (probabilità: 10%). Il 2018 non sarà come il 2017 perché la situazione economica sta cambiando velocemente. Gli output gap si riassorbiranno nei prossimi mesi, i tassi di disoccupazione ritorneranno ai livelli strutturali. Tutto ciò per dire che la crescita non accelererà, anzi, il contrario, e che i rischi d’inflazione, anche se moderati, sono evidenti. Tale situazione consentirà probabilmente alle banche centrali, Fed in testa, di continuare a ricostruire lo spazio di manovra. Il contesto di “grande moderazione” (stabilità dei principali aggregati economici come la crescita e l’inflazione), ma anche la scarsa volatilità e i bassi tassi di interesse, scomparirà.
Scenario #2: 2018, un anno di maggior volatilità, con frequenti sbalzi d’umore dei mercati finanziari (probabilità: 75%). È molto difficile prevedere se ci sarà una crisi finanziaria di grandi dimensioni come quella del 2000 o del 2008. Tra i fattori rassicuranti: • Il buon stato di salute delle banche, ben capitalizzate, con un livello di leva ragionevole e ricavi più stabili; • Una situazione macroeconomica favorevole; • Un’inflazione moderata; • Una minore sensibilità delle economie all’inflazione; • Un tasso di interesse “neutrale” più basso di prima, il che significa che è più facile riassorbire il gap rispetto all’attuale livello dei tassi o che le politiche sui tassi di interessi sono meno ultra-accomodanti di quanto sembra (ciò vale per gli USA, ma molto meno per la zona Euro). • Le banche centrali sono ancora credibili, prevedibili, con una buona capacità di comunicazione. Tuttavia, il contesto di mercato è mutato: (I) le politiche monetarie convenzionali (politiche sui tassi di interesse) hanno esaurito la loro funzione. “L’era dei tassi bassi per sempre” è finita (ii) il grande periodo della disinflazione è terminato; (iii) piano piano stanno scomparendo i programmi di politica monetaria non convenzionale (QE). Tutto ciò significa che il “repricing” dei premi per il rischio porterà inevitabilmente a periodi di maggior volatilità, con un rialzo dei tassi a breve e a lungo termine, con un ampliamento degli spread creditizi e senza dubbio shock ripetuti sui mercati azionari. Scenario # 3: un anno di forte crisi (probabilità: 15%). Nulla è impossibile, e la possibilità di una crisi finanziaria significativa non può essere del tutto esclusa. Tuttavia questo non è il nostro scenario centrale. La scarsa liquidità e il posizionamento simile di molti portafogli rappresentano un rischio supplementare per i mercati finanziari nel caso di una crisi/di uno shock. Ovviamente le politiche monetarie nei Paesi più avanzati non sono in grado di sostenere le economie e i mercati finanziari nel caso di una crisi, a meno che non lancino nuovi programmi di QE.

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