La settimana dei mercati: la paura non durerà per sempre

Una sintesi ragionata della settimana finanziaria appena conclusa. A cura di Mark Dowding, CIO di BlueBay

La pressione sui mercati finanziari è rimasta su livelli estremi questa settimana, mentre ci si inizia a rendere conto che l’Europa e gli USA dovranno affrontare mesi di attività economica compromessa e costi sociali ingenti a causa della diffusione del coronavirus.

Con tassi di contagio più alti di quanto si sperava, la necessità di adottare misure di contenimento per alleviare lo stress crescente sul settore sanitario fa sì che i Paesi si stiano muovendo a uno a uno verso la quarantena generalizzata. La vita quotidiana sarà soggetta a limitazioni reali per diversi mesi a venire.

Il crollo dei mercati azionari è proseguito, dato che gli investitori hanno dovuto prezzare una recessione globale, e le oscillazioni dei prezzi sono state sempre più accentuate per via della mancanza di liquidità, con i trader costretti a lavorare da casa.

Sebbene l’ampiezza del ribasso degli ultimi giorni non abbia ancora raggiunto i livelli della crisi finanziaria globale del 2008, la rapidità dei movimenti è stata straordinaria. L’azionario ha perso più del 30% in tre settimane, mentre gli spread su bond societari, high yield, credito strutturato e mercati emergenti si sono triplicati. Gli indici di volatilità come il VIX sono aumentati di sei volte.

La rapidità dei movimenti ha reso difficile il trasferimento del rischio e, comprensibilmente, gli ordini stop loss hanno provocato crolli drammatici dei prezzi per alcuni asset, con volumi di scambio relativamente bassi.

Viviamo in un contesto senza precedenti

Pochi di noi si sarebbero aspettati di trovarsi in coda per il cibo o di dover spiegare ai parenti più anziani che non possiamo andare a visitarli per via della necessità dell’autoisolamento. Al di là del caos, è giusto chiedersi quali condizioni devono verificarsi affinché la volatilità sui mercati raggiunga un punto di svolta.

Siamo tentati di fare diverse osservazioni.

Innanzitutto, analizzando il modello Kubler-Ross sull’elaborazione del trauma, ci sembra che la fase dello shock e della negazione sia stata in gran parte superata. Di conseguenza, il punto di minimo almeno in teoria non dovrebbe essere troppo lontano.

L’impressione è che forse negli USA gli atteggiamenti non si siano ancora del tutto adeguati, mentre in Europa sembra che la società stia metabolizzando rapidamente la crisi in corso.

In secondo luogo, osserviamo che le autorità stanno iniziando a superare l’inerzia iniziale, andando oltre una risposta reattiva ai mercati, per adottare un atteggiamento di maggiore leadership.

Vi sono annunci concreti di allentamento fiscale, mentre le banche centrali hanno tagliato i tassi, aumentato il QE e annunciato una serie di misure aggiuntive.

È importante notare anche che nell’Eurozona la BCE sembra essersi resa conto dei propri errori di comunicazione, che hanno minacciato di compromettere il tessuto della regione, in seguito alla performance disastrosa di Christine Lagarde settimana scorsa.

L’ultimo elemento che a nostro avviso sarà necessario sono segnali chiari del fatto che il tasso dei contagi e dei decessi stia iniziando ad assestarsi. Per ora, l’accelerazione in entrambi gli indicatori è inevitabile, ma a mano a mano che la pendenza delle curve inizia a diminuire, sembra ragionevole che i mercati si aspettino di raggiungere presto un punto di svolta.

Ci avviciniamo a un cambio di direzione

Riteniamo quindi che ci stiamo avvicinando sempre più a un punto di svolta effettivo in tutti i mercati, anche se non l’abbiamo ancora raggiunto.

Nell’Eurozona, siamo ora più ottimisti riguardo al fatto che gli sforzi concentrati della BCE possano ancorare i rendimenti in tutto il blocco. Abbiamo sostenuto che una risposta politica corretta sarebbe dovuta essere in gran parte fiscale, con politiche che bloccassero i rendimenti per promuovere condizioni finanziarie più accomodanti.

Per alcuni aspetti, ciò potrebbe consistere in una risposta monetaria e fiscale coordinata in stile BoJ, volta cioè ad avere il controllo sulla curva dei rendimenti.

Abbiamo anche pensato che una forma di misura universale a sostegno del reddito (come quella che si è vista a Hong Kong) potrebbe rappresentare una politica innovativa di ‘helicopter money’ fiscale, anche se ciò necessiterebbe una rete di protezione da parte della Banca Centrale per contenere qualsiasi movimento a livello di rendimenti o spread, legato alle preoccupazioni per l’aumento dei livelli di debito.

Di conseguenza, siamo fiduciosi che con il nuovo programma di acquisti da 750 miliardi di euro (il cosiddetto PEPP), che si somma al programma di QE già esistente, e con l’ulteriore aumento di 120 miliardi di euro annunciato settimana scorsa, la BCE sia in una buona posizione per controllare i rendimenti.

La decisione di includere la Grecia in questo programma, allontanandosi apparentemente dai precedenti limiti al 33% sulle emissioni e dichiarando che la BCE è pronta a muoversi ulteriormente per garantire la trasmissione del credito nell’Eurozona, ha mostrato un livello di risolutezza che era dolorosamente assente nel laissez faire della scorsa settimana e nei commenti disinvolti riguardo agli spread dei bond nella regione.

In questo contesto, riteniamo che gli spread dei titoli sovrani europei dovrebbero essere sotto controllo e la volatilità nell’area dovrebbe iniziare a diminuire. Ciò dovrebbe riguardare anche i bond corporate investment grade e quelli finanziari in Europa.

La sfida della liquidità

Il bisogno costante di liquidità in dollari USA ha continuato a mettere sotto pressione gli spread, nonostante l’introduzione di swap line da parte della Fed.

I problemi di finanziamento hanno forzato la chiusura di molte posizioni relative value in diversi mercati e di conseguenza i titoli ‘off the run’ sono diventati sempre più difficili da scambiare.

I riscatti sui fondi hanno aggiunto ulteriore stress, con alcuni gestori obbligazionari di elevato standing in calo fino al 50% da inizio anno.  

Sui mercati emergenti hanno continuato a verificarsi delle distorsioni, con il prezzo del Brent Crude che è sceso al di sotto dei $25 per la prima volta dal 2002.

Ancora più sorprendente è il fatto che la liquidità sia venuta a mancare nel mercato forex, solitamente liquido. Dato che la maggior parte del trading si concentra a Londra, le misure per mettere la città in quarantena e la necessità per i trader di iniziare a lavorare da casa hanno innescato una corsa a chiudere le posizioni che ha provocato alcune oscillazioni straordinarie in valute come la corona norvegese e la sterlina britannica, che il consensus suggeriva di sovrappesare sin dalle elezioni dello scorso anno.

La paura non sarà permanente

Guardandoci intorno, avvertiamo la sensazione che il coronavirus sia tutto ciò che conta al momento. Tuttavia, la paura non è uno stato permanente nei mercati (così come nella vita). Si tratta di una fase transitoria e la vita tornerà alla normalità una volta che saremo usciti dal tunnel.

Nel 1919 ciò si è verificato subito dopo la pandemia dell’influenza spagnola, giunta poco dopo la Prima Guerra Mondiale. Inoltre, ci aggrappiamo alla convinzione che, così come sarà rapida la discesa verso la recessione, la ripresa sarà altrettanto veloce quando arriverà.

Non crediamo che nel sistema vi sia un eccesso di indebitamento come accadde nel 2008. Le banche sono in uno stato di salute discreto e ci sarà bisogno di non avere impedimenti strutturali a freno della crescita una volta che sarà passato questo episodio particolare.

Ci sono dubbi su quando questa ripresa inizierà, se tra 3 o 12 mesi da adesso, eppure ci colpisce il fatto che ora è fin troppo tardi per considerare di ridurre il rischio, mentre il prossimo trade dovrebbe essere quello di aumentarlo (anche se su strumenti liquidi, per iniziare).

Identificare correttamente il punto di svolta non è mai facile e ciò spesso succede in prossimità del punto di massimo pessimismo, quando fare un’affermazione simile appare controintuitivo. Tuttavia, l’esperienza ci ricorda che le tempistiche migliori per comprare sono quelle in cui gli altri vivono il panico da vendita. Detto questo, vogliamo essere prudenti nella gestione dei livelli di rischio del portafoglio complessivo e vogliamo anche capitalizzare su questa opportunità quando si presenta.

A questo proposito, è interessante osservare come in Italia non ci sia il panico nei supermercati e come il Paese trasmetta un’immagine di relativa calma, all’opposto dell’isteria a cui stiamo iniziando ad assistere nei negozi in Gran Bretagna. Si tratta di un’osservazione interessante sul comportamento e la psicologia della folla.

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