Il Governo guidato da Silvio Berlusconi si avvia a gestire una fase delicata per la vita del nostro Paese, ma aleggia la convinzione che, forte delle esperienze precedenti e della solida maggioranza conquistata alla Camera e al Senato, è in condizione di fare cambiamenti sostanziali nel nostro sistema.
Il mondo del risparmio gestito vive, infatti, una fase di estrema incertezza alimentato da risultati non particolarmente brillanti e da un costante flusso di perdite di masse gestite.
Nell’ultimo anno il patrimonio dei fondi comuni italiani è passato da oltre 600 miliardi di euro a circa 500 miliardi, e ogni mese la raccolta netta è negativa: a gennaio -19 miliardi, a febbraio -7 miliardi, a marzo -10 miliardi. Insomma un lento ma costante declino che appare enorme in termini assoluti, ma rappresenta mensilmente circa il 2% degli asset, quindi anche se i giornali strillano al disastro è ancora un livello accettabile.
Il vero problema è il trend, perché quando un investimento non è più percepito come valido allora lo si abbandona e poi è difficile ricreare le condizioni perché venga riabilitato e considerato per il suo giusto valore. Questo non è un problema marginale del sistema risparmio in Italia perché nei fondi comuni investono oltre 10 milioni di risparmiatori italiani e nei fondi pensione saranno ancora di più.
Ma se i mali si conoscono più facilmente si trovano i rimedi che non sono miracolosi, ma frutto di un’analisi logica dei fatti e di un’azione concreta che tutti devono fare, ma l’input deve partire da chi governa perché ne ha il diritto e anche il dovere.
Ma se i mali si conoscono più facilmente si trovano i rimedi che non sono miracolosi, ma frutto di un’analisi logica dei fatti e di un’azione concreta che tutti devono fare, ma l’input deve partire da chi governa perché ne ha il diritto e anche il dovere.
In particolare, sarebbe opportuno intervenire in modo articolato su tutti i soggetti attivi: chi crea i prodotti, chi li gestisce e chi li distribuisce. Vediamo in concreto sette mosse per vincere la partita.
1. Meno burocrazia: negli ultimi anni, complici gli scandali bond argentini e Parmalat, per difendere il risparmiatore la parola d’ordine è stata trasparenza e controllo, che si sono tradotte in carte e documenti, il più delle volte illeggibili da parte dei risparmiatori, aumento dei costi e un appesantimento inutile del sistema. Bisogna tornare a essere semplici: ogni investimento con un foglio riassuntivo chiaro e preciso coi dati rilevanti e sensibili e l’obbligo per chi offre i servizi di redigere e tenere a disposizione tutta la documentazione a sostegno. Quindi più controlli sui soggetti qualificati e meno formalismi inutili con i risparmiatori che se non capiscono finiscono per essere solo diffidenti.
2. Più formazione: con tutte le università in Italia poco o nulla esiste per formare i gestori di portafogli finanziari ed esperti di finanza personale, materie che si possono apprendere sul campo, ma che potrebbero essere supportate da un approccio formativo più articolato e che certamente troverebbero ampi spazi e sbocchi professionali.
3. Più performance: è fondamentale che un prodotto gestito abbia performance valide e se si analizzano i dati alla fine del primo trimestre 2008 su oltre 2.500 fondi solo quelli azionari emerging markets si salvano, mentre per tutti gli altri prodotti si arriva a perdite del 30% su mercati globali e su strumenti immobiliari, se questo può comprendersi in parte per i prodotti azionari il disastro è evidente nei fondi obbligazionari e monetari che rappresentano il 60% dei portafogli e che rendono in media un misero 1,3%. Cosa si può fare? Dare più spazio alle tecniche di gestione alternativa che non sono più rischiose dei sistemi attuali, ma certamente più efficaci.
4. Più responsabilità: in Italia non c’è la cultura di identificare i responsabili della gestione, che sono uomini con storie professionali precise e risultati passati chiari. Bisogna che ogni prodotto sia riconducibile a un gestore responsabile che si esponga e spieghi cosa ha fatto, il perché e le prospettive in un dialogo più trasparente con chi gli affida i propri risparmi.
5. Meno costi: senza entrare nel merito di quanto sia giusto pagare un servizio è evidente che se il risultato è positivo, e cio è dovuto alla capacità del gestore, il cliente è contento di pagare il costo richiesto, in caso contrario qualunque costo è percepito come indebito.
Il tema è complesso ma esistono sistemi per valutare la meritocrazia dei gestori e se fossero applicati correttamente si potrebbero ridurre i costi fissi dei vari prodotti. Inoltre esiste un problema di ottimizzazione delle dimensioni dei fondi: per fare un esempio, il gruppo Intesa Sanpaolo ha la bellezza di 394 fondi gestiti frutto delle fusioni societarie e delle politiche di marketing del passato. E’ evidente che tale gamma è sproporzionata: basterebbero non più di 30 prodotti per un’offerta articolata ed efficiente, tenuto conto che tutto questo ha un costo enorme che viene ricaricato a titolo di oneri amministrativi sui vari prodotti finanziari.
6. Meno conflitti di interessi: il legame fra società di gestione e società di distribuzione, oggi soprattutto banche, è frutto di costante attenzione, certo non si può annullare completamente, ma se si vuole un sistema efficiente queste entità devono essere formalmente e sostanzialmente separate come nei paesi anglosassoni.
7. Più concorrenza in Europa: la prossima applicazione della IV direttiva Ucits prende in esame la libertà di stabile organizzazione per i gestori che potranno avere sede in un qualunque Paese, ma operare liberamente a livello europeo.
I protezionisti si sono già ribellati, ma la strada del futuro è questa e le competenze dei gruppi italiani sono tali da non dover temere questa sfida, mentre per i risparmiatori è già stato dimostrato che la competizione porta solo buoni frutti.
Ci aspettano anni di speranza e di concreto cambiamento e le premesse ci sono tutte.
Per Silvio Berlusconi un’occasione per passare alla storia, per il Paese un’occasione per crescere in fretta.