Tremonti contro Draghi

Se è vero che uno degli ultimi atti del “Berlusconi ter” fu proprio la nomina di Draghi, è altrettanto certo che lo scontro con l’eccellente inquilino di Via Nazionale fu condotto dal titolare del dicastero di Via XX Settembre con esplicita virulenza.

L’attacco fu frontale sui casi bond argentini, Cirio e Parmalat e venne portato persino nelle principali sedi istituzionali, non da ultimo il Cicr, il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio. Fazio ne è uscito apparentemente sconfitto, sotto il peso anche di un processo che lo vede a giudizio a Milano per la scalata all’Antonveneta.

E tuttavia l’ex banchiere centrale gode ancora di ampia stima oltre Tevere, tanto che qualcuno l’ha visto in corsa per l’Istituto per le Opere di Religione, più noto come “la banca del Vaticano”.

 

Di tutt’altra tempra l’attuale governatore. Algido e formale, ma dotato di eguale competenza tecnica, allievo di Federico Caffè, ma anche ottimamente introdotto nei circoli dell’aristocrazia toscana grazie alla moglie, Draghi è il perfetto “civil servant” a lungo appoggiato in modo “bipartisan”.

Già direttore generale del Tesoro di vari ministri della Prima Repubblica, Draghi è stimato negli ambienti finanziari internazionali “che contano”, dove non ha fatto scalpore che, lasciato il ministero, Draghi sia stato ingaggiato dalla potente banca d’affari americana Goldman Sachs, la stessa che arruolò Romano Prodi e Mario Monti e che fino a ieri vedeva tra i suoi “advisor” nientemeno che Gianni Letta.

Ancora recentemente, ricordando Luigi Einaudi, Draghi è tornato a battere sul tasto della “libertà economica”, un concetto che poco piace al Tremonti neo-protezionista e con ricorrenti tentazioni colbertiane e statalistiche.

Lo “standing” internazionale di Draghi si è rafforzato negli ultimi tempi quando il governatore, in piena crisi “subprime”, ha assunto la guida del Financial Stability Forum, una sorta di super-osservatorio mondiale dei “regulators”.
 


 

Al Gruppo dei Sette il Forum ha consegnato un suo rapporto che contiene 65 indicazioni agli operatori finanziari da mettere in atto entro l’estate, per evitare simili crisi di liquidità. Un rapporto definito “eccellente” da Jean-Claude Trichet, numero uno della Banca Centrale Europea.

Ma a Tremonti lo “standing” internazionale di Draghi non va giù, e così il commercialista-ministro ha bollato come inadeguato il rapporto del Forum. Così come non va giù che il Governatore abbia da tempo messo nel mirino, con le regole di “governance” e con l’elenco dei requisiti di “onorabilità” dei banchieri quel Cesare Geronzi, presidente del consigli di sorveglianza di Mediobanca, che è considerato l’unico banchiere del Paese vicino all’attuale esecutivo.

Stupisce, in effetti, che il ministro dell’economia, il quale ancora recentemente ha attaccato il sistema creditizio come crocevia dei cosiddetti “poteri forti”, a vantaggio di una deriva populistica e protezionistica, non difenda chi, come Draghi, non cessa di fare le pulci al sistema bancario nazionale, non si stanca di elencarne le arretratezze, non si ferma nel chiedere un miglioramento della trasparenza e della qualità dei servizi.

 

Le motivazioni reali dell’insofferenza di Tremonti verso l’attuale governatore, quindi, sono da cercarsi altrove.

E la traccia verso Geronzi porta verso il presidente emerito Francesco Cossiga: che nel precedente governo prima attaccò Fazio e poi lo difese e che, oggi come allora, è vicinissimo sia a Geronzi sia al presidente delle Generali, Antoine Bernheim.

Mediobanca e le Assicurazioni Generali – e i rispettivi assetti di controllo – sono partite troppo importanti per gli interessi di Berlusconi e Tremonti perché possano essere ostacolate in qualche modo persino dalla Banca d’Italia.

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