Via del protezionismo

La crisi dei mutui supbrime compie un anno. Nell’estate del 2007 sono emersi i primi segnali di uno shock che ha travolto, e ancora travolge, i mercati finanziari (e non solo). In dodici mesi le previsioni (e le smentite) si sono rincorse annunciando di volta in volta picchi o frenate della crisi.

Oggi le previsioni sembrano aver lasciato spazio alle cifre reali, che non sono entusiasmanti e, soprattutto, non sono definitive. Anche perché la crisi non si è ancora conclusa. Su questo punto sono oggi tutti d’accordo: la crisi non è finita (e probabilmente non può più essere chiamata semplicemente supbrime).

Anche il presidente della Consob Lamberto Cardia, in occasione della presentazione della relazione annuale dell’autorità di vigilanza, ha parlato di tensioni ancora in corso.

«A un anno di distanza dal suo manifestarsi, la crisi non può dirsi superata. Anzi per certi aspetti può sembrare dilatarsi – ha affermato Cardia – Sono emersi problemi che richiedono risposte adeguate e tempestive per fronteggiare le tensioni in atto e per prevenirne di nuove». E proprio sul fronte “risposte” oggi emergono i maggiori problemi. Se, infatti, un anno fa i principali rischi per i mercati (e non solo) erano legati al panico che si scatenava tra una previsione (sbagliata) e l’altra. Adesso il rischio è legato alla caccia al colpevole che si è scatenata, soprattutto nel mondo politico.

E, purtroppo, sembra che molti esponenti di governo nazionali e internazionali abbiano scelto di seguire una strada che si rivela più pericolosa dei rischi di inflazione, stagflazione o recessione: la strada del protezionismo.

Il primo grande esponente di questa soluzione estrema, e non efficace, è il candidato democratico alle presidenziali americane Barak Obama. L’ex-sfidante di Hillary Clinton ha fatto del protezionismo un cavallo di battaglia durante la campagna elettorale, oltre ad aver proposto leggi di stampo protezionista nel suo ruolo di senatore dell’Illinois, come ad esempio il Patriot Employer Act, che prevedeva, tra le altre cose, una riduzione delle tasse delle imprese che si impegnavano a mantenere la sede negli Stati Uniti.

Se i dati sulla disoccupazione continueranno a peggiorare, e se Barak Obama dovesse vincere la sfida con John McCain, è alto il rischio che gli slogan elettorali si trasformino in politiche concrete. 

E, in una tale situazione, è facile che gli USA si troverebbero a dover affrontare un’ulteriore crisi.
Un altro esponente della via del protezionismo risiede in casa nostra ed è il ministro dell’Economia Giulio Tremonti che sul proprio pensiero politico ha scritto anche il libro “La paura e la speranza”.


«E’ finita in Europa l’“età dell’oro”. E’ finita la fiaba del progresso continuo e gratuito. La fiaba della globalizzazione, la “cornucopia” del XXI secolo. Una fiaba che pure ci era stata così ben raccontata. Il tempo che sta arrivando è un tempo di ferro» si legge nel primo capitolo dell’opera di Tremonti. «Quello che doveva essere un paradiso salariale, sociale, ambientale si sta infatti trasformando nel suo opposto. Va a stare ancora peggio chi stava già peggio. Sta meglio solo chi stava già meglio. E non è solo questione di soldi. Perché la garantita sicurezza nel benessere che sarebbe stato portato dalla globalizzazione si sta trasformando in insicurezza personale, sociale, generale, ambientale».
E una tale visione si traduce in proposte politiche che sfociano nel “protezionismo”, come ad esempio i dazi contro la concorrenza asiatica.

A chiudere questo elenco di protezionisti illustri il presidente francese [p]Nicolas Sarkozy[/p] che nel corso della campagna elettorale lanciò anche l’idea del ministero dell’identità nazionale e dell’immigrazione. Ora che è partito il semestre francese dell’UE lo stesso Sarkozy ha però scelto di fare alcuni passi indietro, almeno sui termini usati. Oggi il presidente si dichiara contrario al protezionismo, ma anche a un mondo senza regole. 

Ma il vero appello contro il protezionismo è arrivato dal documento economico del G8 riunitosi a inizio luglio in Giappone. «La globalizzazione è il traino principale della crescita mondiale – si legge nel report dei paesi del G8 – e occorre resistere alla pressioni protezionistiche contro il commercio e gli investimenti internazionali in tutte le loro manifestazioni». Ed è questo il messaggio trasmesso anche dalla comunità europea in tema risparmio gestito, ad esempio, con l’introduzione della Ucits IV, una normativa che semplificherà le procedure di distribuzione dei servizi finanziari, rendendo l’industria dei fondi “sovranazionale”.

Sulla stessa frequenza d’onda si era espresso a inizio luglio anche il governatore della Banca d’Italia [p]Mario Draghi[/p], nel corso del suo intervento alla conferenza internazionale sui rapporti tra Italia, Europa e USA, organizzata da Aspen Institute. 

«Le opinioni pubbliche sono frastornate e nella crisi cercano rassicurazioni», ha chiarito Draghi invitando però i governi a non cedere a facili tentazioni. «La libertà del commercio può sembrare un rischio» ha continuato il governatore, e «il protezionismo può rappresentare un ristoro», anche contro la perdita di potere d’acquisto di stipendi e salari.

Ma è un cattivo ristoro.

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