Commodity: la festa è finita?

Scorrendo le pagine dei giornali e dei principali siti di finanza, l’argomento principale è il calo del prezzo delle materie prime.

Rispetto al 3 luglio scorso (picco dei prezzi delle commodity) gli indici che monitorano le commodity sono calati del 19% in media, segnando la più ampia discesa in un solo mese dal 1980.

Il rame per esempio, in una sola seduta è sceso del 20% passando da 8.930 dollari alla tonnellata dei primi di luglio ai 7.150 dollari la tonnellata di ieri. Chi ha scommesso sul metallo più utilizzato nell’industria elettronica e delle comunicazioni, può stare comunque tranquillo dato che i prezzi sono ancora ampiamente sopra le quotazioni del 2004, quando una tonnellata di rame costava poco meno di 2.000 dollari la tonnellata.

Passiamo all’oro. Una delle migliori scommesse degli ultimi anni sembra pronta a una decisa correzione. Il metallo prezioso, infatti, ieri ha toccato i minimi dallo scorso dicembre, chiudendo la seduta a 814.50 dollari l’oncia.
Dai massimi di marzo, quando veniva scambiato oltre 1.000 dollari l’oncia, il metallo ha continuato a perdere terreno non riuscendo mai a riprendere quota.

Infine cosa dire del petrolio: l’oro nero dopo i massimi del 13 luglio scorso, quando veniva scambiato a 146 dollari al barile, sta tornando piano piano verso i 100 dollari. Una discesa graduale accompagnata dalla ripresa del biglietto verde e da un miglioramento graduale dei listini finanziari.

Dopo 5 anni di rialzi pressoché inarrestabili le commodity sono pronte a scendere? Forse. Una cosa è certa, il calo delle quotazioni non è seguito ad un crollo generalizzato dei consumi ne tanto meno dell’attività industriale di giganti quali Cina e India.

L’unica spiegazione possibile è da ricercare nelle parole di Paul Touradji, trader dell’omonimo fondo hedge specializzato in materie prime. Touraddji ha detto che “l’orgia di acquisti” che ha interessato il settore è finita. E c’è da credergli dato che il gestore nell’ultimo mese ha scommesso forte sul crollo delle materie prime, facendo guadagnare al suo fondo, Peak Ridge Commodity Volatility Fund, il 26% nel mese di luglio (+230 dall’inizio dell’anno).

In effetti la sensazione che il mercato delle commodity fosse gonfiato lo pensavano in tanti: nessun indicatore economico poteva giustificare un balzo dei prezzi di beni agricoli e industriali come quelli vissuti tra il 2003 e il 2005.  Sicuramente, come ricorda Jim Rogers, uno dei più acuti osservatori di mercato nonchè abilissimo gestore hedge: “storicamente si verifica un bull market nelle materie prime ogni 20 o 30 anni” .

Questa volta però la fisiologica rivalutazione dei prezzi delle materie prime è stata accompagnata da una vera e propria “sbornia” per le commodity.

Sbornia cavalcata dalla stampa, dalle società di gestione (che non hanno perso tempo a lanciare sul mercato prodotti legati alle commodity per tutte le tasche), da fondi sovrani, fondi hedge e chi più ne ha più ne metta. un’enorme massa di denaro, che più i mercati scendevano, più si riseversava sulla materie prime (negli ultimi due anni sono oltre 160 i miliardi di dollari investiti in strumenti legati alle materie prime.

Ora si tratta di capire se una ripresa del mercato azionario sposterà di nuovo miliardi di dollari dagli indici legati al settore commodity verso i titoli azionari. 

Ma per citare ancora una volta  Jim Rogers (che nel 1999 a Milano consigliava ad una platea di investitori istituzionali di comprare a mani basse materie prime), “Il prezzo di una commodity non andrà mai a zero. Quando si investe nei futures sulle commodity non si compra solo un pezzo di carta che da all’azionista la proprietà di un pezzo (intangibile) di una compagna che può fallire in ogni momento”. 

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