Male le azioni, bene i bond. Succede ancora, a volte…

Negli ultimi giorni è aumentata la volatilità su tutte le asset class, e le correlazioni considerate oramai stabili da diversi mesi sono venute completamente meno, aumentando le incertezze degli investitori che perdono nel bene o nel male alcuni punti di riferimento certi.

Crollano le materie prime e il petrolio. La causa potrebbe essere il rallentamento dell’economia o il delevereggiamento degli hedge funds (si rilevano le prime vittime eccellenti tra i fondi specializzati in materie prime).
Fatto sta che quella che sembrava una oasi di salvezza, è diventato nelle ultime sedute di borsa un inarrestabile trend negativo. Ci sono alcune eccezioni tra le materie prime meno performanti in passato (bovini, suini, zucchero, caffè..), ma il momentum per l’asset class è innegabilmente negativo.

Sul fronte dei cambi continua il recupero senza fine del dollaro contro l’euro e la maggior parte delle altre valute.
Il movimento contro euro è proseguito arrivando a testare 1,42. La trendline che aveva accompagnato il movimento rialzista dall’inizio è stata bucata a 1,448; la rottura si dovrebbe perciò considerare valida e modificherebbe sostanzialmente il trend primario del cross che diventerebbe a questo punto favorevole in futuro ad un ulteriore recupero del dollaro. Consistente anche il recupero dello Yen.

Gli indici azionari hanno in poche sedute perso quanto avevano realizzato nel corposo recupero di agosto. Soprattutto la seduta di giovedì è la prima da quasi due mesi in cui hanno perso valore praticamente tutte le industrie, non lasciando agli investitori alcuna possibilità di decorrelare il portafoglio e di limitare i danni.
Questo segnale è molto negativo perché sostituisce le discese razionali degli indici avvenute negli ultimi mesi con discese guidate dal panico, negative soprattutto perché aumentano l’incertezza degli investitori che non riescono a dare motivazioni certe ai movimenti di mercato.

La componente obbligazionaria è l’unica che in questa fase di mercato produce rendimenti positivi. Nel momento in cui non si parla più di inflazione dopo la discesa del petrolio si compra nuovamente il reddito fisso, indipendentemente dal suo rendimento. In realtà da una settimana all’altra nulla di sostanziale sembra cambiato, è solo decisamente peggiorato l’umore degli investitori.
Il decennale statunitense è tornato al 3,65% di rendimento, superiore anche se di poco al minimo toccato (3.35%) nella fase più acuta della crisi. Tale livello sconta a nostro avviso la ricerca di beni rifugio e riteniamo probabile, a fronte di un eventuale assestamento del mercato, il ritorno verso un più equilibrato 4%.
Il Bund è tornato in prossimità del 4%. Tale livello è già più giustificato rispetto a quello del decennale statunitense, in quanto le incertezze sulla tenuta della congiuntura economica nell’ Eurozona sono considerevolmente aumentate nelle ultime settimane.

Comprare duration a questi livelli tuttavia è consigliabile solo per quegli investitori che sposano l’ipotesi disastro sui mercati. Altrimenti, il tasso variabile e le scadenze brevi sarebbero forse la scelta da preferire.

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