Le banche centrali garantiscono, ma la prudenza è ancora d'obbligo

La settimana in via di conclusione è stata forse finora per gli investitori la più difficile del 2008.
La scorsa domenica infatti Lehman Brothers, la quarta banca di investimento degli Stati Uniti, ha chiesto la protezione dai creditori con il Chapter11.
La elevata rischiosità degli asset in bilancio e il poco tempo a disposizione per analizzarli hanno infatti reso impossibile trovare un compratore.
Il Tesoro e la FED di conseguenza, dopo essere intervenuti per Bear Sterns, Fannie Mae e Freddie Mac, hanno preferito lasciare Lehman al suo destino.
Contemporaneamente Bank of America ha acquisito Merril Lynch, ma non è bastato a tranquillizzare gli investitori.
Nelle sedute di borsa successive infatti il mercato ha scommesso sull’azzeramento delle banche di investimento colpendo nell’ordine Washington Mutual, AIG (un tempo la prima assicurazione a livello mondiale per capitalizzazione), Morgan Stanley, Goldman Sachs, State Street.
Per alcune di esse vi sono state diverse sedute di ribasso con performance negative di oltre il 30%.
Infine le diverse autorità statunitensi che hanno considerevolmente perduto credibilità nella fase attuale di mercato hanno prima salvato AIG con un prestito di $85 miliardi, hanno inondato il mercato di liquidità (FED in concerto con le altre banche centrali), hanno proibito di vendere allo scoperto azioni del settore finanziario (SEC), infine hanno annunciato un piano di risanamento con la costituzione di una Bad Bank finanziata dai fondi federali nella quale fare confluire titoli e crediti a rischio (Tesoro).
La settimana è quindi finita con un’esplosione della volatilità, questa volta al rialzo.
Anche se il recupero sembrerebbe positivo, tuttavia vedere indici come il FTSE sfiorare un rialzo del 10% in una sola seduta indica che l’incertezza sul mercato è assoluta e che la resistenza degli investitori è provata.
Nondimeno, qualora il piano di Paulson dovesse essere realizzato in tempi brevi, gli indici azionari potrebbero recuperare parte della perdita del 2008. Soprattutto se il consolidamento del settore finanziario dovesse continuare con le grandi banche commerciali acquirenti delle indebolite banche di investimento.
La cautela comunque è d’obbligo in quanto è probabile che nei prossimi mesi molti investitori continueranno a ridurre le posizioni.
La volatilità rimarrà perciò elevata sulle principali asset class, anche se questo non è necessariamente negativo, in quanto si potrebbero creare per gli investitori attenti e pronti ad agire delle appetibilissime opportunità di investimento.

I dati macroeconomici in settimana sono passati completamente in secondo piano. Torneranno ad essere rilevanti non appena la volatilità scenderà sensibilmente.
Le materie prime hanno sofferto molto al ribasso, sia per la chiusura obbligata di molte posizioni levereggiate, sia per i timori di rallentamento.
In particolare il petrolio ha puntato $90 per poi rimbalzare in area $100. Ben comprato invece l’oro, l’ultimo bene rifugio insieme al debito governativo.
Probabile nelle prossime settimane per le materie prime un tentativo di rimbalzo generalizzato.
Volatile il dollaro che dopo avere puntato 1,39 contro euro si è stabilizzato nel range 1.40-1,45.
Continuiamo a puntare sull’inversione del trend del dollaro. Cionostante, sopra 1,47 riconceremmo a preoccuparsi.

Indici obbligazionari a macchia di leopardo.
Esploso lo spread sulle obbligazioni societarie, dopo il rischio default per AIG e per alte società che fino a poco tempo fa avevano una tripla A come rating.
Al contrario gli investitori alla ricerca di asset sicuri si sono concentrati sul debito governativo.
Il decennale statunitense arrivato nella seduta di martedì al 3,25% di rendimento, chiude la settimana con un più equilibrato 3,74%. Il 4% rimane a nostro avviso un livello obiettivo nel breve termine.
Nonostante la funzione difensiva della parte lunga della curva, continuiamo a preferire agli attuali rendimenti il tasso variabile o le scadenze brevi a reddito fisso.

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