Impossibile fallire

tratto da la voce.info

Il 7 settembre 2008 il governo degli Stati Uniti ha varato un piano di salvataggio per i due colossi del mercato secondario dei mutui americani, Fannie Mae e Freddie Mac entrambe sull’orlo dell’insolvenza o, forse, già insolventi.

QUATTRO PUNTI DAL TESORO

Il piano è articolato in quattro punti. 1) Viene concesso alle due government sponsored enterprises(“GSE”) di espandere il portafoglio da 1,5 trilioni di dollari a un massimo di 1,7 trilioni con graduale riduzione del 10% all’anno dal 2010.
2) Acquisto da parte del governo di azioni privilegiate per 1 miliardo di dollari con una opzione per ulteriori 100 miliardi.
3) Pagamento dei creditori garantito da apposite linee di credito statali.
4) Facoltà per la Federal Reserve di acquistare un ammontare indeterminato di titoli di debito emessi dalle GSE. (1)

Il piano avrà durata sino a fine anno. Entro tale termine il Congresso dovrà adottare una soluzione a lungo termine. 

CHI SONO FANNIE E FREDDIE

L’intervento ha suscitato accese polemiche. Al governo sono imputati sia la socializzazione delle perdite sia un incremento dei rischi legati al moral hazard. (2)
Sebbene le critiche abbiano fondamento, tuttavia, bisogna considerare lo status e l’operatività delle GSE per comprendere il loro peso nel sistema finaziario.
Fannie e Freddie sono chiamate government sponsored enterprises perché sono una via di mezzo tra una impresa privata e una statale. Le loro azioni sono quotate e la loro solvibilità non è garantita dal governo. Tuttavia, sussistono forti legami con lo Stato: sono disciplinate da un atto del Congresso e hanno accesso a linee di credito governative. Il presidente degli Stati Uniti nomina 5 amministratori su 18. Alle banche è permesso acquistare titoli di debito delle GSE in misura maggiore rispetto ai corporate bonds.
Ciò ha contribuito a creare nel mercato la percezione di una implicita garanzia, ossia della certezza di un intervento del governo in caso di fallimento.

E COSA FANNO

Fannie e Freddie non sono attive sul mercato primario, ma forniscono liquidità al sistema e per fare ciò utilizzano due strade.
La prima prevede l’emissione di obbligazioni il cui ricavato è destinato a finanziare l’acquisto di crediti ipotecari prime sul mercato primario che rimangono poi sui libri delle GSE. In tal modo gli operatori godono di una provvista per concedere mutui abitativi.
La seconda prevede uno swap tra crediti ipotecari e titoli garantiti da ipoteca (“mortgage-backed securities”). Gli operatori del mercato primario trasferiscono crediti ipotecari a fronte di titoli di debito delle GSE. Lo swap permette di trasformare i crediti ipotecari in obbligazioni delle GSE con riduzione del rischio, dato il loro rating, per una fee annuale di circa 20 punti base.
I titoli delle GSE sono particolarmente appetibili per le istituzioni finanziarie. Questi hanno il vantaggio, da un lato, di poter essere inclusi nel Tier 1 del patrimonio di vigilanza, in quanto considerati risk-free. E, dall’altro, offrono rendimenti superiori ai buoni del Tesoro statunitensi.
Nel 2004 le banche commerciali e le casse di risparmio statunitensi avevano in portafoglio titoli per circa mille miliardi di dollari. A giugno 2007 in Asia ve n’erano per circa 800 miliardi (376 in Cina e 228 in Giappone),in Europa erano circa 100 miliardi, (39 in Lussemburgo, 33 in Belgio e 28 in Gran Bretagna). In Russia erano circa 75 miliardi. (3)

Un eventuale fallimento delle GSE comporterebbe una svalutazione dei titoli in circolazione, con effetti drammatici sui patrimoni di vigilanza delle banche, e il congelamento del mercato primario dei mutui abitativi non potendo gli operatori rivolgersi alle GSE per reperire liquidità.
Visti gli effetti sistemici di un fallimento delle GSE è impensabile che potessero essere abbandonate al loro destino: sono semplicemente “too big to (let) fail”.
La garanzia implicita si è così trasformata in esplicita con elevati costi per i contribuenti: le prime previsioni sono di 200-250 miliardi pari al 5 per cento delle passività di Fannie e Freddie.
È molto probabile che un mancato intervento avrebbe comportato costi maggiori. In altri termini, il Tesoro si è trovato di fronte a un cosiddetto systemic risk exemption. (4)

Il PIANO DI SALVATAGGIO

Il piano di salvataggio presenta inevitabilmente luci e ombre.
Innanzitutto, vi sono le incertezze legate ai costi delle linee di credito, che, peraltro, potrebbero anche non essere utilizzate, e dell’acquisto dei titoli di debito delle GSE.
Il piano presenta anche dei pregi. È giustamente severo con manager e azionisti.
I manager sono stati esautorati e i loro golden parachute disconosciuti. La gestione è passata nelle mani dell’autorità di controllo con l’obbiettivo di un loro ridimensionamento e di limitare le perdite attraverso una amministrazione, secondo gli intenti, orientata alla creazione di valore. Le GSE sono state mantenute in attività in quanto la liquidazione non pare possibile. La svendita degli assets avrebbe innescato una spinta al ribasso del loro valore con un impatto sistemico imponderabile.
Gli azionisti sono stati duramente colpiti, non godranno, se non in via residuale, di alcun beneficio e non avranno diritto a dividendi in futuro. Senza contare la perdita di valore delle azioni delle GSE.
Resta aperta la questione dei detentori di obbligazioni, che potrebbero perfino trarre un profitto a danno dei contribuenti, ma, purtroppo, non era necessario evitare il tracollo del valore di tali strumenti.


La soluzione adottata pone degli interrogativi per come potrà essere condotta e per quanto durerà. È dubbio se il governo abbia le competenze per gestire le GSE nell’ottica di minimizzare l’impatto per i contribuenti. È un terreno inesplorato negli Stati Uniti. In precedenza il governo si era limitato a finanziare le imprese in crisi, vedi Bear Stearns, senza assumerne il diretto controllo.

UN CASO DI POLITICAL CAPTURE?

Da tempo si invocava un intervento normativo volto a ridurre il portafoglio delle GSE, a sottoporle a regole di sana e prudente gestione e a svincolarle dal legame statale.
Tali richieste sottolineavano i rischi dimensionali delle GSE, la loro (cronica) sottocapitalizzazione, il rischio legato alle garanzie implicite e alla conseguente socializzazione delle perdite e, infine, il rischio sistemico. (5)
Tutte queste istanze sono però rimaste inascoltate.
Proposte di riforma sono state presentate negli ultimi 10 anni anche sulla spinta del Tesoro e della FED. Solo nel luglio 2008, in piena crisi, il Congresso è intervenuto.
Il silenzio del legislatore non sembra casuale se si considera che le spese di lobbying delle GSE negli ultimi 10 anni sono state pari a 174 millioni di dollari. Solo nel 2008, le GSE hanno speso circa 7,4 milioni in lobbying.
Anche i due candidati alla Casa Bianca hanno trovato in nelle GSE munifici sponsor. Obama dal 2005 ha potuto contare su circa 120mila dollari, appena dietro il senatore Dodd, chairman of the Senate banking committee (133mila dollari). Mentre McCain ha potuto contare, in campagna elettorale, su 169mila dollari. (6)
Sembra, quindi, trattarsi di un caso di political capture in cui il legislatore ha badato più agli interessi delle GSE che all’interesse pubblico. L’inerzia del legislatore costerà ora però davvero cara ai contribuenti.

(1) Le azioni privilegiate destinate al Tesoro saranno senior rispetto alle privilegiate e ordinarie in circolazione, ma subordinate rispetto alle obbligazioni. Vedi Statement by Secretary Henry M. Paulson, Jr. on Treasury and Federal Housing Finance Agency Action to Protect Financial Ma
rkets and Taxpayers, 7 settembre 2008.
(2) In una intervista rilasciata a Radiocor, Salvatore Bragantini ha affermato, ad esempio, che “Gli Stati Uniti improntano la loro economia sul liberismo, ma solo se fa bel tempo, quando la situazione diventa brutta allora diventa socialismo”. Si veda poi Becker, Should Central Banks Intervene During This Financial Crisis? 19 agosto 2007. E anche l’intervista di Stephanopoulos della Abc a Paulson.
(3) Per l’esposizione delle banche americane si veda FDIC, Assessing the Banking Industry’s Exposure to an Implicit Government Guarantee of GSEs,. Per l’Europa, invece, si veda Timmons, Trouble at Fannie Mae and Freddie Mac Stirs Concern Abroad, 21 luglio 2008.
(4)Kaufman, Too Big to Fail in U.S. Banking: Quo Vadis?, 2003, http://ssrn.com/abstract=386902 or DOI:  10.2139/ssrn.10.2139/ssrn.386902, pp 11-12.
(5) Vedi per esempio la relazione sottoposta al Congresso dall’allora segretario del Tesoro Snow nell’aprile del 2005. Inoltre vedi Wallison, in Privatizing Fannie Mae, Freddie Mac, and the Federal Home Loan Banks, Why and How,Wallison, Ely e Stanton, 2004, p. 8 ss., http://www.aei.org/books/bookID.794,filter.all/book_detail.asp; Thomas, Problems at Freddie Mac and Fannie Mae: Too Big to Fail?,Senate Republican Policy Committee Paper, 2003
(6) Si veda lo specchietto pubblicato dal New York Times

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