Il coraggio di cambiare le regole

di Francesco Vella
da La Voce del 7 ottobre 2008

Il vizio è antico, e non ci si può fare niente. Èormai una tradizione consolidata negli anni quella dei regolatori addormentati e delle crisi finanziarie che provvedono a svegliarli. Prendete il caso dell’Europa. Da anni esistono studi e ricerche che mettono in rilievo un fatto assolutamente banale: il contrasto tra il mercato comune dell’area euro e la frammentazione della vigilanza bancaria, destinato a manifestarsi soprattutto quando le cose vanno male, e cioè quando bisogna prendere decisioni rapide ed efficaci nei confronti di gruppi polifunzionali e cross-border che interloquiscono con decine di autorità di controllo, ciascuna con proprie e diverse competenze.
Alla proposta di una integrazione della vigilanza si è sempre risposto negativamente, sostenendo che era molto più realistico pensare a un serio coordinamento tra le autorità. Il coordinamento in effetti in parte ha funzionato, ma con il limite di essere lento, difficile, costoso e soprattutto incompatibile con la velocità di trasmissione delle crisi finanziarie. Cosa, questa, a tutti ben nota, solo che inneggiare alle virtù salvifiche del coordinamento ha permesso finora di fare bella figura, conseguendo il vero e reale obiettivo: evitare con tutti i mezzi che le autorità nazionali perdessero spazi di intervento e conservare agli Stati membri la possibilità dei fare quello che volevano dei propri sistemi bancari. 

INCERTEZZE E RESISTENZE
Adesso, quando i sinistri scricchiolii della crisi cominciano a sentirsi anche in una Europa fino a qualche tempo fa sicura di essere immune dal bubbone di oltreoceano, si cerca affannosamente di recuperare anni di miope pigrizia, ma ancora una volta, e i risultati del mini vertice a quattro di sabato lo testimoniano, con incertezze e resistenze.
Sono comprensibili le resistenze a creare fondi di salvataggio europei perché i contribuenti rimangono comunque nazionali ed è oggettivamente difficile una ripartizione di risorse che incida equamente sui singoli bilanci pubblici: è sicuramente una prospettiva da coltivare, ma presuppone un grado di integrazione tra gli Stati membri ancora lontano.
Meno comprensibili sono invece le resistenze a definire meccanismi efficaci per proteggere veramente i risparmiatori, intervenendo non dopo che i buoi sono scappati dalla stalla, ma con efficaci misure preventive. Assicurare i depositanti della solvibilità della banca, caricandoli nel contempo come contribuenti dei costi del salvataggio, corre l’ovvio rischio di creare una sorta di partita di giro nella quale alla fine tutta la collettività ci perde.
Solamente che intervenire prima presuppone scelte adeguate ai problemi da fronteggiare. Nell’ambito della nuova direttiva sul capitale si sta progettando la creazione di collegi tra le autorità di vigilanza sui grandi gruppi, collegi che hanno  compiti di programmazione dei controlli e di gestione delle situazioni di crisi. La struttura dei collegi, però, non incide minimamente sulla conservazione delle competenze nazionali, e non emerge una vera e propria figura di lead regulator con poteri effettivi e che possa, alla fine, decidere quando c’è bisogno di farlo e in tempi possibilmente rapidi. Anche i comitati di vigilanza bancaria europei come il Cebs hanno un ruolo, ma esclusivamente di mediazione qualora nell’ambito dei collegi dei supervisori nascano divergenze.
In sostanza, sono passi importanti, ma rimane ancora la sensazione di meccanismi molto complessi che funzionano in maniera lenta e farraginosa alla ricerca continua di faticosi equilibri. Non sono certo la risposta che la gravità della crisi richiede.

UNA VIGILANZA A GEOMETRIA VARIABILE
La risposta che tutti si aspetterebbero sarebbe quella di creare una vera e propria autorità di vigilanza europea, ma anche qui esistono da circa dieci anni numerose proposte che ovviamente ci si è guardati bene dal prendere in considerazione e il comunicato dei G4 di sabato si limita solo a qualche generico richiamo.
Se non si vuole aspettare ancora un altro decennio, forse è venuto il momento che quei paesi dell’area dell’euro che convergono sull’esigenza di trovare criteri comuni partano da soli, ad esempio creando propri collegi di controllo sui gruppi che operano nei loro confini, fondati sul principio di maggioranza e sulla delega di poteri a un lead supervisor. Una sorta di vigilanza europea a geometria variabile, sicuramente eversiva rispetto agli attuali assetti, ma a questo punto utile a smuovere acque ormai melmose.
Per quanto riguarda i comitati di vigilanza come il Cebs, potrebbero essere  sviluppate le proposte del rapporto Ricol presentato a settembre al presidente francese Sarkozy, attribuendogli un ruolo generale di supervisione del funzionamento dei collegi e di indicazione di standard ai quali questi dovrebbero obbligatoriamente conformarsi. (1)

SEMPLIFICARE ANCHE DA NOI
Infine, visto che comunque le istituzioni europee non riescono a semplificare, una buona azione per ridurre il numero di autorità dovrebbe essere intrapresa dai singoli Stati.
Parlare in Italia di nuova architettura dei controlli dopo l’ingloriosa fine del disegno di legge di riforma delle autorità può apparire paradossale, ma, forse, i momenti bui sono quelli dove è più facile trovare un po’ di coraggio e di forza per superare le resistenze corporative.
E allora c’è da chiedersi se non si possa andare anche oltre le previsioni di quel disegno e incamminarsi verso un’unica autorità di vigilanza su tutti i mercati e su tutti gli intermediari.
Quello che sta succedendo in questi giorni dimostra come il sistema delle tutele presupponga approcci sempre più integrati tra trasparenza e stabilità, integrazione che dovrebbe avere le sue naturali conseguenze anche sul terreno della organizzazione dei controllori.
Qualcuno penserà che questo sia il classico elenco delle pie illusioni, lontanissimo da una realtà dove non si è risusciti neppure ad accorpare le competenze di vigilanza sui fondi pensione e sulle assicurazioni, ma, lo si ribadisce, nella storia della finanza da sempre le crisi sono servite a svegliare i legislatori dormienti, anche perché ci vanno di mezzo i soldi dei risparmiatori che poi, alle elezioni, se ne ricordano.

(1) R. Ricol, Report on the Financial Crises, settembre 2008.

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