A spese del cliente

Le crisi finanziare lasciamo sulla loro scia molti cadaveri. Ma hanno il pregio di mettere a nudo limiti, e malefatte, che si celano nei mercati finanziari. Finché le cose vanno bene, è difficile scoprirli, non fosse altro perché chi ne subisce le conseguenze (ne è vittima) non ha nessuna ragione per lamentarsi. Perché mai un risparmiatore poco esperto dovrebbe chiedersi se gli hanno rifilato un titolo troppo rischioso, finché quello rende bene?

C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA. E IN ITALIA

Le crisi mettono a nudo i rischi eccessivi, gli imbrogli e le imperizie. Fu così con Enron, fu così con Parmalat e fu così con le obbligazioni Cirio che la Banca di Roma di Geronzi raccomandava ai propri correntisti per recuperare con le sottoscrizioni il debito Cirio verso la Banca di Roma. Deve essere così anche con questa crisi. Guardando da questa all’altra sponda dell’Atlantico abbiamo imparato che i banchieri americani concedevano con facilità prestiti a chi non aveva merito di credito. Fin qui poco male, se il rischio fosse rimasto in capo a loro. Invece li cartolarizzavano e li rivendevano passando il rischio ad altri, più ignari di loro sul reale valore dei crediti sottostanti. Li concedevano anche a tassi variabili, sfruttando la miopia dei clienti e magari anche rafforzando in loro il convincimento che i bassi tassi di interesse sarebbero rimasti cosi per sempre.

Fin qui l’America. In Italia no, almeno questa sembra essere la convinzione diffusa. Lì c’era (ci sarà ancora?, si chiede qualcuno) il “capitalismo sfrenato” che consentiva tutto ciò. Da noi no, il “capitalismo” è frenato (“e meno male”, pensano in tanti), si concedono meno prestiti, si cartolarizza di meno, non c’è stata la bolla immobiliare e così via. Tutto vero, certo. Però, i mutui a tasso variabile sono stati raccomandati con altrettanta disinvoltura anche a chi ha profili del reddito piatto; dal 2002 oltre due terzi dei mutui erogati erano a tasso variabile. (1) I default sui mutui sono aumentati, alcune cartolarizzazioni sono state fatte. Ma non è qui il vantaggio comparato dell’Italia. Gli americani, si sa, sono un popolo di consumatori indebitati e non sorprende che il business (e gli imbrogli) si faccia sul debito. Il nostro è un popolo di risparmiatori e il business (e gli imbrogli) si dovrebbero fare su questo versante. Concentrati come siamo sulle ripercussioni planetarie della crisi dei subprime, ci sfugge questa dimensione. Ma la crisi è in atto da tempo, le nostre banche lo sanno da prima degli altri. Questo ha offerto loro una occasione unica per praticare ciò che sanno fare molto bene: passare il rischio ai clienti guadagnandoci due volte: perché, appunto, si liberano del rischio; perché nel farlo ci lucrano anche le commissioni. Èuna assurdità? Forse non tanto, a giudicare dal caso che mi è stato raccontato.

Una signora di 80 anni, inesperta (nonostante, o forse a causa, dell’età) e, come si dice, finanziariamente analfabeta, affidandosi del tutto alle scelte della sua banca ha investito il suo patrimonio di 363mila euro in obbligazioni bancarie. Di questi, 263mila in obbligazioni di due banche d’affari americane, di cui ben 203mila in obbligazioni Morgan Stanley con scadenza 2013; gli altri 60mila in obbligazioni Goldman Sachs scadenza 2014, il rimanente in obbligazioni Abn Ambro (50mila) e di banche italiane. Oggi la valorizzazione del patrimonio, complici gli aumenti dei tassi a breve e soprattutto il rischio di fallimento di queste banche, è pressoché dimezzata. Che pensare?

INCAPACITÀ O CALCOLO?

Vi sono due possibilità. La prima è che chi elargisce consigli ai risparmiatori sia incapace di farlo. La lezione numero 1 della finanza è diversificare; la numero 2 è diversificare e la numero 3 è diversificare. Nessuna delle tre lezioni è stata applicata: tutti i titoli sono concentrati in un unico settore, quello bancario, due terzi dell’investimento è concentrato in una obbligazione di una sola banca. Buona parte dell’investimento è a medio termine, esponendo il portafogli della povera signora a un incredibile rischio di tasso.

La seconda possibilità è che chi elargisce consigli sappia bene quel che fa, ma abusa della fiducia altrui per fare gli interessi suoi e del suo istituto. Èdifficile appurare la verità, anche se il sospetto che la tentazione di passare il rischio alla anziana cliente abbia prevalso sull’ignoranza del principio di diversificazione, riceve supporto dalla tempistica degli acquisti: i 203mila euro di obbligazioni Morgan Stanley sono stati immessi nel portafoglio della signora in piena crisi finanziaria, possibilmente attingendo da quelli in carico alla banca. Sicuro, le banche italiane ne hanno guadagnato in solidità, soprattutto se questo giochetto è stato fatto su larga scala (c’è qualcuno con poteri di supervisione che può prendersi la cura di appurarlo?). Ma a spese del cliente.

Ulteriore solidità è stata acquisita convincendo la clientela ad acquistare massicciamente obbligazioni bancarie. Tra luglio 2007, quando la crisi esplode, e luglio 2008 le obbligazioni bancarie, che le banche collocano direttamente presso i loro clienti, sono aumentate del 20 per cento, in totale controtendenza con il resto dell’Europa e a un tasso quasi doppio di quello dell’anno precedente. I depositi crescono soltanto di un magro 5 per cento, come nell’anno precedente.

Cosa renda queste obbligazioni così attraenti non è chiaro: è noto che rendono meno (per la maggior parte delle banche) di un titolo del debito pubblico di uguale scadenza, ma diversamente da questo, non hanno neppure un mercato secondario. Fatto ancora più interessante, non sono coperte dal fondo di garanzia sui depositi. Insomma, un risparmiatore decentemente informato dovrebbe quasi sempre preferire titoli del debito pubblico. Ciò che rende commercializzabili le obbligazioni è la scarsa informazione dei clienti e il ruolo di consulente della banca nelle scelte finanziarie.
Insomma, nel mezzo di una crisi finanziaria con epicentro del rischio nel settore bancario, i portafogli delle famiglie italiane sono zeppi di depositi e obbligazioni bancarie, nazionali e non. Di nuovo, maggiore solidità per le banche, ma a spese dei clienti.
Non viene il dubbio che anche il “capitalismo frenato” non sia un grande affare per i risparmiatori?

(1) Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia.

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