Chi paghera' il conto

 Al prossimo presidente degli Stati Uniti, che uscirà dalle urne fra qualche giorno, tocca raccogliere l’eredità disastrosa dell’amministrazione di George W. Bush che lascia un Paese senza più la “leadership” mondiale sia nella sfera della finanza sia in quella della politica. 
 
Grazie all’ultimo settennato di Bush, nel cuore del nostro presidente del consiglio Silvio Berlusconi, gli Stati Uniti si ritrovano con un deficit che salirà alle stelle, superindebitati e alle prese con una guerra dall’esito incertissimo.
Chi pagherà il conto di questa crisi? Una cosa è certa: mettendo mano al portafoglio per salvare banche e assicurazioni, gli stati nazionali, Europa in testa, si trovano con una capacità di spesa pubblica drasticamente ridotta e con vincoli di bilancio che di colpo si sono fatti drammatici. Spazio per ridurre le tasse, insomma, non ce ne sarà più, visto che già era ridotto all’osso. La ri-statalizzazione delle banche inglesi, la mano dei governi sugli istituti tedeschi e francesi e persino il “salvagente” da 20 miliardi di euro predisposto dal nostro esecutivo prospettano un secco peggioramento dei conti pubblici e l’allontanamento di qualsiasi ipotesi di pareggio di bilancio. L’intervento pubblico era purtroppo l’ultima ratio per evitare di innescare fenomeni di panico tra i risparmiatori, con i correntisti in fila per ritirare i loro risparmi; ma seppure inevitabile è gravido di conseguenze.
 
Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea hanno già segnalato che, crisi finanziaria a parte, l’economia globale sta entrando in piena fase recessiva. E’ curioso assistere ai reiterati show ottimistici di Berlusconi quando il nostro Paese è destinato quest’anno ad una crescita zero e ad entrare in recessione già con il 2009 perdendo ricchezza per lo 0,5 per cento. C’è solo da augurarsi che lo scenario di stagnazione economica e di recessione, grazie alle costosissime misure adottate dai governi, non peggiori ulteriormente. Il rischio mortale che correvamo, infatti, è che la crisi di liquidità fra le banche – puntualmente riflessa in un andamento del tasso Euribor ben superiore ai tassi di riferimento – si riverberasse a valle sull’intero sistema produttivo restringendo il credito alle imprese. 
 
Se l’Italia che lavora e che risparmia (sempre meno) è destinata ad un 2009 nel quale “tirare la cinghia”, ben diverso è lo scenario dell’Italia dei Salotti Buoni, quella dove si fanno e si disfano gli equilibri del potere reale. Anche grazie alla crisi finanziaria, Berlusconi ha fatto “filotto”: ha rinsaldato l’asse col presidente di Mediobanca Cesare Geronzi, nel board dell’istituto di Piazzetta Cucia è entrata la figlia Marina e già sedevano Ennio Doris e l’amico Tarak Ben-Ammar. Dire Mediobanca oggi significa, per Berlusconi, dire le Generali domani. Anche grazie al dialogo sotterraneo e mai interrottosi con Massimo D’Alema, il premier ha imbarcato Roberto Colaninno nell’affare Alitalia (scaricando i debiti della compagnia sui contribuenti) e così ha portato l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera dalla sua parte, essendo il presidente Giovani Bazoli notoriamente ostile al Cavaliere. L’occupazione “manu militari” del Potere da parte del nuovo Ordine berlusconiano si estende alle ricche provincie Eni e Enel, tutelate dai fidi Paolo Scaroni e Fulvio Conti fino alle Autostrade dei Benetton, dalla Finmeccanica che è stata favorita negli appalti americani proprio grazie all’asse con Bush, fino alla Telecom. Attraverso l’Eni, poi, Berlusconi ha costruito un rapporto di ferro con Vladimir Putin e ha spalancato al gigante energetico russo Gazprom le porte del ricco mercato di sbocco italiano.
 
Sono davvero lontani i tempi nei quali Berlusconi era considerato un “parvenu” dai vari Enrico Cuccia, Leopoldo Pirelli e Giovanni Agnelli. Anche grazie ad una totale afasia progettuale dell’opposizione del Pd e ad un ruolo marginale dei cattolici, Berlusconi, in ticket con Geronzi, oggi si ritrova “dominus” incontrastato del potere economico e finanziario, proprio mentre gli italiani che lo hanno votato in larga maggioranza devono fare i conti con la recessione. 
Anche questi sono i costi della democrazia. 

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