Salvataggio delle industrie automobilistiche USA, c’è chi dice no

Lo Yen sotto quota 90 con il dollaro, ossia al di sotto dei minimi del 1995, fotografa impietosamente la debolezza e la fragilità di un mercato che per l’ennesima volta sbanda a causa di una notizia che viene percepita negativamente dagli operatori.

Il fatto che il Senato americano non sia riuscito nella giornata di ieri a trovare un compromesso per votare il piano di salvataggio delle industrie automobilistiche non è di per sé una notizia negativa. Non si capisce infatti perché i repubblicani avrebbero dovuto digerire senza fiatare il piano che era stato adottato mercoledì sera a larga maggioranza dalla Camera a maggioranza democratica, che lascia all’Amministrazione uscente l’onore/onere di bruciare altri 15 miliardi di dollari senza troppi pensieri, anche se formalmente il rogo è stato presentato come un “prestito”.

“Il piano non ha gli standard necessari per essere approvato”, ha detto il senatore repubblicano McConnell.

“Non siamo riusciti a tagliare il traguardo” e “potremmo passare tutta la notte, venerdì, sabato e domenica e non ci riusciremmo”, ha dichiarato il leader della maggioranza democratica Harry Reid Reid dopo lunghe ore passate a negoziare e compiere pressioni su un nocciolo duro di senatori repubblicani che rifiutano di salvare con fondi pubblici i tre colossi dell’auto, General Motors, Chrysler e Ford, aggiungendo infine “ho paura a guardare Wall Street oggi”.

Sino a quando non sarà chiaro come i fondi verranno impiegati e che sacrifici saranno disposti a fare dirigenti e dipendenti delle industrie automobilistiche, è molto meglio che certe decisioni le prenda il governo entrante. Se vorranno creare una nuova casta, oltre a quella “della finanza” generosamente sostenuta e foraggiata da Henry Paulson, dovranno anche assumersene la responsabilità.

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