Cambiare per salvarsi

Il dibattito sul futuro della UE e dell’euro ha assunto un’accelerazione e appare elemento critico nel 2017, in ragione delle numerose scadenze politiche distribuite nel tempo. Premetto che la mia etnia e le mie convinzioni sono propense all’Europa. Tuttavia devo sottolineare il timore che l’assoluta assenza di leadership nelle istituzioni europee possa costituire il miglior veicolo per il successo dell’opinione contraria. Una sconfitta cercata più che una vittoria meritata.

In tale contesto i Paesi in exit conseguirebbero un risultato molto pericoloso se l’euro restasse altrove in corso, dovendo soffrire il forte naturale degrado delle proprie “nuove” valute. L’unica prospettiva, paradossale ma tecnicamente credibile, sarebbe l’eliminazione totale della “moneta senza Paese” con la libera circolazione della monete nazionali, salvo eventuale permanenza in Stati di piccole dimensioni, scarso peso dell’export-import e limitata popolazione.

Tuttavia non sembra il momento ideale per impostare tale scelta, non solo perché antieuropea, bensì perché suicida rispetto alla prospettiva di uno scenario mondiale modificato che vede Stati Uniti, Russia e Cina indirizzati verso soluzioni che non considerano l’Europa quale partner o controparte strutturale. I tre-quattro Stati maggiori della Ue non avrebbero ruolo e perderebbero la forza garantita da 500 milioni di abitanti con il reddito medio più alto e meglio distribuito del mondo.

Di fatto, la Ue ha un’unica base di unione ed è quella monetaria, essendo assente quella politica, fiscale e civilistica (direttive a parte). Con la mancanza dell’euro la probabilità di dissoluzione è palese, il che comporterebbe un impoverimento sostanziale oltre che la perdita di quanto investito negli ultimi 25 anni. Una scelta miope, magari condivisa da molti nel breve, ma che non ha alcuna ragione per alcuno nel lungo periodo.

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