Adeguato sì, corretto no

Un potente meccanismo di disimpegno morale che può consentire ai consulenti di mantenere un concetto
morale positivo di sé a fronte di condotte scorrette è quello di giustificare le stesse in quanto rispettose
delle norme cogenti. Una raccomandazione di investimento conforme alle regole tecniche dell’adeguatezza Mifid può quindi essere ritenuta di per sé professionalmente corretta e così “servire al meglio l’interesse del cliente”.

Tuttavia questa condizione è senz’altro necessaria ma non sufficiente per qualificare un comportamento
conforme ai principi etici professionali e ciò almeno per due motivi. Il primo è che non sempre l’osservanza della norma garantisce l’effettività di ciò che si propone. Per esempio l’indagine di Synovate, realizzata con mystery shopping nel 2011 per la Commissione Europea, rivelò che solo il 40% delle raccomandazioni dei consulenti fu
ritenuto adeguato e i consulenti che proposero prodotti non adeguati lo fecero nonostante una applicazione formalmente corretta della Mifid. Il secondo motivo è che un comportamento etico-professionale dovrebbe perseguire uno “standard fiduciario” molto più impegnativo di quello tecnico, dal momento che il consulente dovrebbe seguire il principio di agire secondo “il miglior interesse del cliente” evitando qualsiasi bilanciamento con quelli propri o dell’intermediario.

Da questo punto di vista il rispetto della legalità può essere funzionale nel migliore dei casi a incentivare comportamenti professionali mediocri e può essere, nei casi peggiori, una razionalizzazione mentale nel perseguire i propri interessi a scapito di quelli del cliente. Per questi motivi sarebbe auspicabile riflettere sulle modalità con le quali si possa sviluppare consapevolmente un modello professionale in una prospettiva etica e non solo legale.

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