Scende il costo del lavoro. Ma anche gli stipendi

L’Istat ha fotografato in modo impietoso gli ultimi anni del nostro Paese vissuti, come sempre in Italia, tra proclami e speranze rivelatisi poi soltanto delle gran bufale. Secondo l’istituto di statistica, quindi una fonte imparziale, nel 2016 abbiamo pagato 17 miliardi di tasse in più che con Monti, 50 miliardi in più che con Berlusconi. Il rapporto debito/Pil è continuato a salire: dal 129% nel 2013 al 132,6% nel 2016. Il governo Renzi, come quelli di Monti e Letta, ha continuato la riduzione del deficit (e degli investimenti) per raggiungere il pareggio di bilancio. La pressione fiscale è salita e poi scesa in modo quasi impercettibile: 41,6% nel 2010; 43,6% nel 2013; 43,3% nel 2015; 42,9% nel 2016. I redditi da lavoro dipendente sono scesi dai 169,6 miliardi nel 2011 ai 161,9 miliardi nel 2015. Ed è proprio quest’ultimo dato che vorremmo prendere in considerazione. Secondo uno studio di UHY, network di società di consulenza indipendenti, creato nel 1986 a Londra e oggi con circa 300 uffici nelle maggiori città di 90 Paesi, negli ultimi 5 anni il costo del lavoro per le imprese italiane si è ridotto, tra i 1.000 e i 6.000 euro per addetto, in base al livello, grazie all’eliminazione dell’Irap e altri sgravi. Ma lo stipendio netto dei dipendenti è diminuito, a causa del balzo delle addizionali Irpef di Comuni e Regioni, triplicate in pochi anni. Unica eccezione i redditi più bassi, che beneficiano del bonus di 80 euro mensili. L’Italia resta così uno dei Paesi con il divario più alto fra stipendio netto (53%) e costo per l’azienda nelle maggiori 10 economie europee. Tanto per rendere l’idea, un impiegato del settore commercio ha perso in 12 mesi 173 euro a Milano e 227 a Roma. Un quadro ha guadagnato 225 euro in meno nel capoluogo lombardo e 516 nella capitale. Un dirigente ha subito una decurtazione di 1.431 euro a Milano e 1.167 a Roma. [email protected]

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