Mifid 2 e whistleblowing

Il decreto legislativo di recepimento della direttiva Mifid 2 impone a intermediari e imprese di assicurazione di adottare procedure specifiche di “whistleblowing” per la segnalazione da parte del personale interno di atti o fatti che possano costituire violazioni delle norme. L’intento è quello di prevenire, individuare e contrastare possibili illeciti, nonché diffondere la cultura della legalità all’interno delle organizzazioni. La letteratura internazionale pone diversi dubbi circa i benefici del whistleblowing in rapporto a diverse conseguenze negative riscontrate, laddove l’interrogativo fondamentale è relativo alle condizioni di un’efficacia soddisfacente. Le esperienze italiane non sono particolarmente entusiasmanti. Per esempio, l’Anac ha evidenziato che dal 2014 al 2016 sono state ricevute solo 299 segnalazioni, nonostante la garanzia di assoluta riservatezza al segnalante. È evidente che l’inefficacia di questo strumento ha una radice culturale e ciò ripropone il tema che una normativa o un meccanismo organizzativo da soli non sono sufficienti a raggiungere gli obiettivi che si propongono. Le ricerche sul whistleblowing dimostrano che alla base della decisione del segnalatore ci sono principalmente motivazioni morali nobili, quali quella di contribuire al miglioramento dell’organizzazione e della società o di fare la cosa giusta. Per questo motivo il whistleblowing dovrebbe essere preceduto, accompagnato e sostenuto da attività educative che consentano lo sviluppo del ragionamento etico degli individui. Altrimenti non si può che attendere il suo fallimento, con l’ulteriore conseguenza di generare, soprattutto negli individui più sensibili ai temi etici, la percezione che nulla possa cambiare e quindi sterilizzare qualsiasi intento civile di contrasto all’immoralità e all’illegalità.

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