A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca

“A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”. La frase è di Giulio Andreotti, ma la sua datazione è incerta nella unga vita del defunto politico democristiano, al quale si devono aforismi fulminanti come quell’altro famoso de “Il Potere logora chi non ce l’ha”. La prima però 
è un’affermazione che ben si attaglia a quanto sta succedendo nel mondo della consulenza finanziaria italiana, che si prepara a vivere un momento così fortemente “disruptive” come l’entrata in vigore dal prossimo 3 gennaio della direttiva Mifid 2.

Con tutto ciò che l’adozione anche nel nostro Paese della normativa europea comporta in tema di maggiore trasparenza dell’offerta lato clienti e, non ultimo, lato produttori di servizi finanziari e, soprattutto, lato distributori.

“Le rassicurazioni che abbiamo avuto dai tre esponenti delle reti presenti (Giovanni Pirovano, vice presidente di Banca Mediolanum; Dario
Di Muro, amministratore delegato di Finanza e Futuro Banca; Ferdinando Rebecchi, responsabile Life Banker di Bnl Bnp Paribas) non mi hanno tranquillizzato. Questa preoccupazione sulla diminuzione dei livelli provvigionali esiste tanto
più perché questa è in parte associata al nuovo paradigma introdotto dalla Mifid 2, che mantiene la struttura tradizionale di remunerazione ma a fronte dell’innalzamento del livello di qualità del servizio, e in parte dovuta alle ulteriori richieste di trasparenza
e alla forte concorrenza sul mercato”. Maurizio Bufi, presidente di Anasf, al termine dell’edizione torinese di ConsulenTia17, in un’intervista a bluerating.com ha lanciato il sasso nello stagno, e ha fatto benissimo.

Sappiamo cosa ha comportato in Gran Bretagna l’entrata in vigore della direttiva Rdr in termini
di uscita dal mercato di un consistente numero di financial advisor che non avevano più i numeri per sopravvivere in un contesto che aveva reso molto più difficile il trade off costi/benefici. È vero che a fronte di ciò la qualità del servizio lato cliente è aumentata e che i distributori sono comunque riusciti a registrare maggiori margini di guadagno. Ma non c’è dubbio che ciò è stato dovuto anche a una più marcata segmentazione della clientela, che ha trascinato “verso il basso” delle piattaforme D2C (direct-to- consumer) i detentori di patrimoni
meno consistenti sottraendoli al
rapporto diretto col loro financial 
advisor. Ecco perché i consulenti finanziari italiani incardinati in banche e reti dovrebbero chiedere alle mandanti cosa davvero significhi questa spinta generalizzata sulle piattaforme digitali di wealth management e il loro riposizionamento quali nuove “private bank”.

Non si tratta di una concertazione per preparare, un domani, lo scenario italiano dell’industria al modello britannico? Le piattaforme digitali di wealth management da un lato e lo spostamento solo verso la clientela alta dell’offerta personalizzata di banche e reti lasciano presagire, in realtà, una strage di quei consulenti finanziari che oggi gestiscono clienti fino a 15-20 milioni di euro. A fronte di margini compressi, quei cf saranno giocoforza costretti a dire ai loro clienti che possono far tutto da loro su una piattaforma. Col risultato che la ventilata minaccia del “robo-advisor” non solo non è stata neutralizzata, ma anzi è stata portata in casa. I consulenti finanziari, insomma, farebbero bene a pensar male.

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@andreagiacobin1 andreagiacobino.wordpress.com

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