Mattone dopo mattone

“Da buon bergamasco ho preso con il latte materno anche il mio rapporto con i soldi. Siamo sempre preoccupati che siano troppo pochi, non troppi. Anche se, figlio di imprenditore e a mia volta imprenditore, non ne ho mai maneggiati in gran quantità. Di liquidi ne ho sempre avuti pochi. Appena li ho, li investo. E’ stato così da sempre”. Palmiro (noto come Miro) Radici, 75 anni, nativo di Leffe e figlio di Pietro, fondatore di una delle più importanti dinastie imprenditoriali orobiche, sposato con Annamaria Colombelli, due figli (Marco e Nicola), è cavaliere del lavoro dal 2003. Guida la holding di famiglia “Miro Radici family of companies”, che possiede partecipazioni in numerose attività hi-tech e ha sviluppato una serie di asset tecnologici ad alto valore aggiunto. Dal 2011 presiede la Sacbo, la società che gestisce l’aeroporto di Orio al Serio. E’ impegnato in iniziative socio-culturali e solidali: dal 2005 presiede la Fondazione Santa Maria Ausiliatrice che amministra la Casa di riposo di Bergamo.
Cavalier Radici, da buon bergamasco sarà anche un buon risparmiatore. Investimenti nelle attività familiari a parte, chi gestisce i suoi risparmi privati?
Da buon bergamasco, come dice lei, risparmio e ho un grande rispetto per il risparmio. E’ fondamentale per alimentare l’economia produttiva, per sviluppare i progetti imprenditoriali, e per fortuna l’Italia è stata e rimane, nei limiti di quanto permette la crisi, un Paese di risparmiatori. Benché, bisogna ammettere, questa caratteristica è frutto anche della sfiducia che storicamente gli italiani hanno nelle classi dirigenti, che spinge a crearsi un salvagente. Detto questo, ho sempre gestito da solo i miei risparmi. Per i miei studi (è diplomato in ragioneria e ha ricevuto la laurea honoris causa in ingegneria gestionale, ndr) e per la mia attività imprenditoriale credo di possedere competenza ed esperienza nella finanza.
Non avrà nemmeno una grande fiducia nelle banche…
Tutt’altro. Sono stato per anni vicepresidente del Credito Bergamasco ed è stata un’esperienza molto interessante. Ma era un altro mondo. All’epoca il rapporto tra banche e clientela era un rapporto tra uomini, non tra macchine e uomini.
Ritiene, quindi, che le banche abbiano assunto un comportamento meccanicistico tutto algoritmo e niente umanità e pensa, come molti imprenditori, che non abbiano fatto il loro dovere negli anni della crisi?
Le banche sono diventate troppo diffidenti, questo è certo. Ma bisogna ricordare che sono a loro volta delle aziende. Devono essere caute e riportare a casa non solo i soldi prestati ma anche qualcosa in più. E’ vero che tanti imprenditori, tante famiglie, lamentano la scarsa erogazione di credito, ma chissà se quanti ne hanno bisogno abbiano poi la capacità di restituirlo. Certo, è sempre più difficile che le valutazioni più opportune possano essere adottate in gruppi sempre più grandi, affetti da elefantiasi.
Nella sua lunga attività imprenditoriale lei ha spaziato anche in settori eterodossi, dal calcio all’editoria. Che esperienza ne ha tratto?
Per 20 anni ho posseduto tra il 40 e il 50% dell’Atalanta: gestire una squadra di calcio è più difficile che gestire un’azienda. Prima di tutto, i tuoi asset sono costituiti da persone, spesso giovanissime e fragili, che una settimana fanno sfracelli e l’altra vanno in tilt perché si sono lasciati con la fidanzata. Esiste poi il problema dei tifosi. Costituiscono, costituivano più esattamente, un altro asset della società, ma il rapporto si è rovinato via via che si è cominciato a volerli gestire, a comprarseli quasi, e di questo ascrivo una colpa grave anche agli allenatori, magari accordandosi con loro presunti rappresentanti. Per quanto riguarda l’editoria, posseggo ancora una quota, molto piccola, del quotidiano “L’Eco di Bergamo”. Ma l’editoria è un settore complicato: le copie calano, la pubblicità cala, è difficile recuperare con incassi esterni al core business. Io non posso fare a meno di leggere e d’informarmi e per questo sono disposto a pagare. I giovani, perlomeno quelli che vogliono informarsi, pretendono le notizie gratis. La svolta potrà arrivare solo se i giovani di oggi, con gli anni, a loro volta torneranno a leggere per informarsi e formarsi. E non gratis.
Infine, l’esperienza alla Sacbo…
Mi dà tante soddisfazioni. Il bilancio 2015 è stato molto positivo. Abbiamo archiviato oltre 15 milioni di ricavi in più del 2014 e l’utile è in crescita del 133%. Risultati per i quali tengo a ringraziare tutti i dipendenti. E quest’anno entreranno a regime gli investimenti che nel 2015 non erano ancora a frutto. Sacbo è una società forte, solidissima a livello patrimoniale e finanziario, con professionalità che tutti ci invidiano. Un insieme che può costituire una solida base di partenza se la Lombardia vuol fare sistema nel settore aeroportuale.

Pietro Romano

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