L’era della post voluntary

La parte più difficile arriva ora. Chi pensava che la regolarizzazione o il rimpatrio dei capitali detenuti illecitamente all’estero, e la successiva dichiarazione dei redditi, avrebbe esaurito le incombenze, si era sbagliato. Infatti, da questo momento in poi parte la fase della programmazione, delle decisioni strategiche in merito a quei patrimoni.

Le decisioni da assumere
La prima decisione è se il patrimonio deve rimanere all’estero o essere riportato in Italia, fisicamente o anche solo giuridicamente. Nell’ottica di molti, tale patrimonio è stato per anni al riparo da eventi catastrofici (default dello Stato, ritorno alla lira con obbligo di cambio sfavorevole e così via) o comunque protetto da pretese altrui (familiari, eredi o anche semplicemente malavitosi). La sensibilità individuale ha un ruolo fondamentale nel prendere una decisione che non ha più alcuna rilevanza tributaria. La psicologia e le paure ataviche sono il motore principale della scelta e non è un caso che ben oltre la metà delle procedure abbiano fatto ricorso al cosiddetti waiver.

Semplificare le strutture

Occorre poi provvedere alla “manutenzione” e alla semplificazione delle strutture esistenti ad esempio mediante la “chiusura” degli strumenti dichiarati interposti o l’accorciamento delle catene societarie. In tale contesto, si pone spesso il tema dell’individuazione dello strumento giuridico con il quale detenere le attività: società semplice, società di capitali residente o meno, contratto di assicurazione sulla vita, trust e così via. Tutti gli strumenti sono passati in rassegna, colmando un vuoto conoscitivo di cui negli anni “offshore” sovente non si era percepita l’esistenza.
A questo punto emergono le questioni più sostanziali: come programmare la successione (spesso le attività estere erano surrettiziamente escluse dalla legittima semplicemente perché ignote ai potenziali eredi), quali regole stabilire in ottica prospettica per la governance del proprio gruppo o semplicemente del proprio patrimonio (opere d’arte, immobili, disponibilità liquide), come ottimizzare la fiscalità futura.

Incognita imposte
La tematica più immediata è quella relativa all’imposta sulle successioni, attualmente applicata nella misura tra il 4% e l’8%, ma certamente destinata ad innalzarsi sia pure con tempi, modi e misure oggi non prevedibili. La stampa richiama spesso un disegno di legge risalente ai primi mesi del 2015 che, se approvato, eleverebbe l’aliquota dal 4% al 7% per importi fino a Euro 5 mio e addirittura al 21% per l’eccedenza. Si tratta di un provvedimento datato e anche recentemente è stata smentita l’imminente revisione delle aliquote dell’imposta sulle successioni.
Fatto è che si è acquisita consapevolezza che prima o poi le aliquote saranno aumentate e la fretta nell’anticipare un probabile provvedimento è spesso pessima consigliera non solo sul piano fiscale ma anche sul piano operativo e degli affetti. Sotto tale ultimo profilo, è notorio che spesso chi ha donato in vita se ne è amaramente pentito!
Alcuni contribuenti pensano al trasferimento (o al ritrasferimento) delle residenze all’estero, altri alle polizze vita o ai trust o ai tradizionali meccanismi della separazione dalla nuda proprietà dell’usufrutto sui beni. Non esiste una ricetta precostituita e valida per tutti. La soluzione va individuata caso per caso ma è essenziale adattare gli strumenti tradizionali al mondo in evoluzione. Ad esempio, sono in pochi a cogliere che spesso la donazione della nuda proprietà su azioni permette di contenere l’onere indiretto (donazione), ma spesso creando i presupposti per una ben maggiore fiscalità diretta prospettica a causa della perdita del valore fiscalmente riconosciuto riferibile all’usufrutto.

Paolo Ludovici, fondatore dello studio Ludovici & Partners, è membro Aifi e Aipb

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