Passione per l’arte

Marta Citacov
Energia affabilie. Un’allure internazionale che lo ha portato a condurre uno dei “lawyers’ firm” più accreditati, lo studio legale Delfino e Associati Willkie Farr & Gallagher Llp fondato nel 2000. Ha uffici a Milano, Roma, Parigi, Londra, Francoforte, Bruxelles e negli Stati Uniti (New York, Houston e Washington). Sessant’anni portati con stile, una passione per l’arte contemporanea, si occupa di finanza con un’attenzione particolare a private equity, mercati e capitali, antitrust, corporate business, venture capital e molto altro. La visione globale di una gestione della finanza in ottica non solo italiana è uno dei punti di forza di Maurizio Delfino.

Avvocato Delfino, quanto conta il denaro nella sua vita?
Per me è importante che moglie e figli vivano bene. In realtà, per me spendo poco.

Ma quando si tratta di investire, come si muove?
Seguo le mie passioni, cui ho poco tempo da dedicare. Sono un grande appassionato di arte contemporanea, cerco di acquistare pezzi che mi piacciano e che abbiano anche una quotazione sul mercato. Poi, da un punto di vista più ludico, mi piacciono le biciclette. L’artigianato di lusso, in ogni sua forma. Credo che sia importante comprare quello che ci piace, spendere a livello emozionale.

In pratica, il contrario di quanto avviene sul fronte del business…
«Un professionista, oggi, vende il suo tempo. Questo è il bene più prezioso, il vero lusso contemporaneo. Si tratta di una questione di prospettive: secondo me, il tempo di un professionista ha un’utilità marginale superiore rispetto a quello di un imprenditore. Ogni ora di vacanza è una perdita di guadagno. Con l’avvento della rivoluzione industriale si pensò che le macchine potessero far risparmiare tempo. Un economista svedese già negli anni Settanta spiegò come l’aumento della produttività portasse all’esatto opposto».

Quindi come si fa per investire il proprio tempo al meglio?
Io credo che si debba puntare alla qualità della vita. Non dimenticare che il tempo libero è una necessità, non un vezzo. Lavorare senza pause è un errore.

Lei va a fare shopping? Spende nella moda?
Raramente. Intendiamoci, l’abbigliamento è importante. Mi piacciono le cose belle, ma ho la fortuna di avere accanto una donna che conosce i miei gusti e che si occupa di assecondarli. Devo ammettere che se mi capita di dover fare acquisti da solo, sono rapidissimo. Da un lato perché sono deciso, so quello che voglio e soprattutto quello che non voglio. Dall’altro perché, come la maggior parte degli uomini, compro solo quello che realmente mi serve, e lo faccio in fretta.

La ripresa italiana, qual è la chiave?
In Italia non siamo indietro sulla finanza tradizionale. Il nostro problema più grande è la burocrazia, che rallenta tutto. Manca un po’ di coraggio. I prodotti finanziari inventati altrove arrivano subito, ma è difficile che si diffondano. Questo anche a causa delle procedure infinite che dilatano i tempi e instaurano meccanismi di scarico delle responsabilità. All’estero chi decide, si prende la responsabilità. Qui invece il decisionismo è assente. Ci vorrà almeno una generazione per cambiare questa attitudine.

La fuga di cervelli è anche fuga di patrimoni?
I patrimoni non se ne vanno, anche se avvengono cambiamenti significativi nel modo di investire. Il capitale è internazionale. Sul fronte dei cervelli che continuiamo a esportare, il panorama è preoccupante: i giovani eccellenti che si trasferiscono sono un ostacolo al cambiamento: se le nuove generazioni vanno a operare in paesi stranieri, da noi non si va avanti.

Il suo studio associato è all’avanguardia nella gestione della finanza islamica. In un momento delicato come questo, ci spiega perché l’Italia fatica a stare al passo con le altre nazioni europee, per non dire degli Usa?
In Italia esiste una sorta di resistenza alle cose nuove. E diverse. Un tempo eravamo innovatori, il conformismo ha distrutto la vena creativa italiana. Si copia, e male. Nel nostro paese vivono ufficialmente 2 milioni di musulmani. Il 47% non ha un conto in banca, gli scambi di denaro avvengono per lo più in contanti. Una regolamentazione della loro posizione presso gli istituti di credito porterebbe all’emersione del loro giro di affari. Due sono gli aspetti da considerare: dal basso, un servizio che manca a 2 milioni di persone. Dall’alto, lo spostamento di capitali islamici in Italia, un vantaggio economico rilevante che altri paesi, con in testa la Gran Bretagna, hanno sfruttato e sfruttano da decenni.

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