I gemelli del business

Sir David e Sir Frederick Barclay, i fratelli gemelli che nel 2004 hanno acquistato il Daily Telegraph per 665 milioni di sterline, ossia l’autorevole foglio di riferimento dell’area conservatrice, sono tra i cognomi più facoltosi della Londra che si dice moderata. O tradizionalista. Ricchissimi, proprietari di tante cose, dal Ritz di Londra a vari giornali. Nel luglio del 2004 hanno comprato The Telegraph Group (oggi Telegraph Media Group), che include The Daily Telegraph, The Sunday Telegraph e The Spectator dopo mesi di intense trattative e anche qualche causa. Nel portfolio si contano, poi, varie altre aziende tra cui una di shipping, Ellerman Lines.

Trading immobiliare
Mentre lo scorso anno hanno venduto al Qatar tre alberghi storici di Londra: il Claridge, il Berkeley e il Connaught. Senza tralasciare un’intera isola sulla Manica che qualcuno, a un certo punto, voleva trasformare in paradiso fiscale. Nel 1993, infatti, i fratelli hanno acquistato il contratto di locazione dell’isola di Brecqhou, al largo della costa di Sark, una delle più piccole delle British Channel Island. Dai giornali al business delle vendite al dettaglio (Shop Direct, di cui stanno vendendo parte delle quote), dunque, passando per gli immobili di prestigio. Nel 2006 Patrick McKillen, uno dei più grandi proprietari e costruttori immobiliari irlandesi, che nel suo ricco portafoglio vanta tra l’altro il Clarence Hotel di Dublino (che possiede insieme a Bono, il cantante degli U2), e i fratelli Barclay hanno formato insieme una società, la Coroin, per l’acquisto e lo sviluppo di grandi strutture alberghiere. Ne fanno parte anche altri imprenditori.

Ricchezza da sogno
Il gioiello nella corona della società erano i succitati tre alberghi di Londra, più un quarto altrettanto raffinato e carico di tradizione, il Savoy, che è stato però successivamente venduto a un gruppo di Dubai. Sta di fatto che i gemelli, molto britannici e quasi uguali, da sempre piuttosto sensibili alle inserzioni pubblicitarie, sebbene lo neghino fortemente, sono bravi nel commercio ma anche a dribblare il fisco. E siedono su una montagna di soldi tanto che il Sunday Times Rich List del 2015 ha stimato la loro ricchezza in 6,5 miliardi di sterline.

Occhio alla reputazione
Ci tengono molto alla reputazione e alla forma, in pieno stile inglese, e fanno vita piuttosto riservata tanto che le interviste rilasciate negli anni si contano sulle dita di una mano. Negli anni, le loro imprese sono state accusate di evasione fiscale: la maggior parte di queste sono registrate all’estero e sono controllate attraverso la costituzione di trust. Recentemente i gemelli sono stati sotto i riflettori dopo le accuse sul modo in cui il loro giornale ha trattato storie che hanno inciso sugli interessi commerciali. E le dimissioni, nel 2015, di uno degli editorialisti politici di punta del Telegraph, Peter Oborne, sostenuto da un articolo bruciante nel quale ha accusato la gestione del giornale di collusione con gli inserzionisti, in particolare con Hsbc, li ha messi alle luci della ribalta, proprio quella che loro sembrano odiare. È stato qualcosa di più, secondo Oborne, del classico conflitto di interessi per proteggere un amico a cui si deve qualcosa.

Beghe editoriali
Il piacere fatto alla banca, sostiene, è il sintomo di un malessere più ampio: la sottomissione della proprietà ai suoi inserzionisti. Nemmeno i quotidiani della City, del resto, sono immuni da preoccupazioni. Tempo fa il Financial Times ha sbattuto in prima pagina il titolo “Tumulto al Telegraph” come se quest’ultimo fosse sull’orlo della chiusura, nonostante 60 milioni di sterline l’anno di attivo (sebbene abbia recuperato solo metà della somma sborsata dai Barclay per comprarlo). Sta di fatto che, si sa, il mondo della carta è in crisi, compresa quella degli strategici gemelli: la tiratura dell’edizione cartacea cala a causa della concorrenza dell’informazione digitale, la pubblicità online cresce ma non abbastanza, le soluzioni tentate dai giornali (paywall parziale o completa, sito gratuito) non hanno ancora individuato la formula magica, i profitti scendono. E in una situazione simile può scattare il vassallaggio nei confronti di chi compra pagine di pubblicità, ultima fonte sicura di guadagni.

Patti segreti?
Il Telegraph ha risposto sdegnato al j’accuse del suo columnist, ribadendo la «totale indipendenza» della redazione da esigenze commerciali. Ma altri quotidiani hanno rincarato la dose, segnalando ulteriori malefatte del giornale dei fratelli Barclay. Il quale ha reagito tirando fuori presunti scheletri dagli armadi degli altri: il Guardian avrebbe accettato un patto con la Apple promettendo di non pubblicare articoli critici sull’azienda californiana nei giorni in cui escono sue inserzioni; due dirigenti dell’ufficio pubblicità del Times si sarebbero suicidati negli ultimi sei mesi per lo stress e la pressione a incrementare le vendite. Sembra innegabile, nell’incrocio di smentite e contro smentite, che ci sia sotto almeno una parte di verità. E i cinque direttori licenziati dal Telegraph in dieci anni testimoniano incertezza, fragilità, paura, in parte attribuite ai proprietari, in parte all’amministratore delegato Murdoch MacLennan, un manager 66enne così lontano dall’era digitale che detta le email alla segretaria invece di scriverle da sé. La morale è che oggi nessuno è tranquillo, a Fleet street come nel resto del panorama giornalistico: e a Londra, dopo la tempesta del Tabloidgate, lo scandalo delle intercettazioni illecite che ha investito i quotidiani popolari di Murdoch, si sono messi a tremare anche i quality papers, i giornali più seri e rispettabili. Quello che sta accadendo al Telegraph, ha fatto sapere Meredith Levien, manager del New York Times, «è un allarme. Significa che tutti dovremmo prendere in mano la situazione in modo più strategico». Intanto si spera che anche i fratelli proprietari del Daily Telegraph diventino capaci di camminare verso nuove mete, come suggeriscono la nomina per la prima volta di due donne alla direzione di Economist e Guardian.

Debutto nella decorazione
I gemelli sono nati nel 1934. Il loro padre è morto quando i ragazzi avevano 12 anni e intorno all’età di 16 anni avevano già costituito il loro primo business: una piccola società di pittura e decorazione. Nel 1955 David Barclay sposa Zoe Newton, una ballerina che diventa poi una modella, molto apprezzata. È apparsa in spot televisivi per il Dairy Council come la ragazza immagine di «Drinka Pinta Milka Day». Zoe ha avuto altri due figli, Howard e Duncan, e ha dato la sua carriera di modella per concentrarsi sulla famiglia. Nel 1970, Sir Frederick sposa Hiroko Asada. Il figlio di lei, nato da un precedente matrimonio, Ko, segue l’esempio del patrigno e ora è un imprenditore di successo. I fratelli sono da sempre accusati di essere troppo elusivi e in un’intervista di qualche anno fa, la prima in 30 anni di attività, Sir David ha detto: «Oggi ci va di parlare perché siamo di buon umore. Non abbiamo nulla da nascondere ma teniamo molto alla privacy». Persino nel 1999, quando la Regina ha aperto i nuovi uffici a Scotsman, di loro proprietà, non fecero un grande discorso. «L’unico commento di Frederick Barclay, prima di salire sulla macchina dove lo aspettava il suo autista, è stato “la giornata è stata interessante”», aveva riportato il Daily Mail.

Fan della Tatcher
I Barclays non si sono mai lanciati in dichiarazioni esplicite in ambito politico, ma di certo sono stati molto vicino al primo ministro Margaret Thatcher che è stata ospite per mesi, prima della sua morte avvenuta nell’aprile del 2013, al Ritz di Londra. Pensieri condivisi, dunque, tra i gemelli Barclay e la Lady di Ferro, tra liberismo, conservatorismo e rigore. E isolazionismo. In linea coi tempi.

Francesca Vercesi

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