Investire nel bello

Sebbene ragionare per luoghi comuni sia a volte molto pericoloso, non c’è niente di più vero che affermare che l’Italia è il primo Paese del mondo per patrimonio artistico. Il nostro Paese possiede il maggior numero di beni artistici e culturali dichiarati patrimonio dell’Unesco, con ben 50 siti. Anche il mondo, più in generale, è senza dubbio un serbatoio vastissimo di opere d’arte e la circolazione degli oggetti è molto viva, basti pensare alle diverse case d’asta e ai loro progetti.

Offerta limitata
Alla luce di queste riflessioni, verrebbe scontato pensare che, in Italia, la sensibilità nei confronti degli investimenti in questa direzione sia più spiccata che altrove. Al contrario delle aspettative, invece, a giudicare dai numeri, di fatto solo il 15% degli operatori offre internamente questo servizio e ben il 44% non lo presenta nella sua gamma di offerta. Difficile, quindi, pensare che sia immediato per un cliente pivate interessato a investire in arte trovare nella maggior parte delle banche un valido aiuto. Eppure, se un gran numero dei clienti possiede opere d’arte qualcosa vorrà pur dire: forse la sensibilità artistica o il semplice interesse vengono sottovalutati e le banche che ancora non hanno preso in considerazione questo aspetto dovrebbero attrezzarsi, anche per un fatto di competitività sul mercato. E poiché, numeri alla mano, pochissimi clienti si rivolgerebbero al proprio istituto di appartenenza, è evidente che gli interessati in questo ambito dovranno rivolgersi ai pochi operatori che lo prevedono, che sicuramente metteranno a disposizione dei clienti un servizio ben strutturato, in grado di seguirli passo passo in tutte le fasi, grazie all’aiuto di consulenti sempre più preparati, pronti a fare da intermediari ai clienti appassionati.

Il ruolo dei galleristi
Rispetto al passato le cose non sono cambiate in modo sostanziale: di fatto, la metà dei clienti private continua a rivolgersi alle gallerie, il 43% agli esperti indipendenti e il 21% alle case d’asta. L’unico cambiamento su cui occorre soffermarsi è che diminuiscono al 20% i clienti che si affidano ad amici esperti, ma non professionisti, per mettersi nelle mani delle banche e delle istituzioni finanziarie (8%).
Comunque, l’aspetto più interessante su cui soffermarsi è il fatto culturale di questi investimenti, fortemente contestualizzato cioè nel periodo in cui ci troviamo: in un’era in cui l’incertezza sembra avere la meglio, una delle tendenze sembra essere quella di rifugiarsi in beni che infondano più tranquillità. E se una volta gli investimenti preferiti erano rivolti quasi solamente agli immobili o all’oro, oggi si sceglie di far fruttare il proprio patrimonio anche in oggetti di piacere personale. Sempre più spesso, infatti, i private banker si trovano a raccogliere manifestazioni di interesse da parte dei loro clienti nei confronti di questo settore di investimento, al punto che l’arte sta acquistando una sua posizione nell’asset allocation istituzionalizzata. Un caso lampante, dunque, in cui il confine tra passione e business si assottiglia sempre di più, fino a confondersi.

Investimento atipico
Bisogna, in ogni caso, essere cauti a considerarli investimenti in senso stretto, perché se è vero che, ad esempio, molte opere d’arte vengono vendute a cifre da capogiro, bisogna sempre riflettere su tutti gli oggetti che di fatto rimangono invenduti. Infatti, la liquidabilità di un investimento e i relativi costi di disinvestimento vanno quindi presi in considerazione, anche se non è possibile confrontarli con gli investimenti finanziari. Quindi, fare sempre fede a un dogma fondamentale: la strategia dovrebbe sempre essere la diversificazione del portafoglio, investendo una certa quota del patrimonio in un ventaglio di possibilità, in modo da affrontare qualsiasi cambiamento il più possibile a cuor leggero, senza aspettarsi però di arricchirsi nel breve periodo.

Bruno Zanaboni

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