I limiti della famiglia

Ciò che distingue le aziende familiari italiane da quelle del resto del mondo è il fatto che non solo l’amministratore delegato ma tutto il management è scelto nella cerchia familiare. Così le imprese sono meno produttive e meno innovative. Cinque modi per favorire una selezione più meritocratica.

Manager scelti tra i parenti
In un recente articolo, Massimo Bordignon e Andrea Prat sostengono che i benefici fiscali sulle imposte di successione concessi agli eredi di un imprenditore hanno effetti negativi. Il sussidio va eliminato, perché non solo è inutile ma anche controproducente. I dati citati da Bordignon e Prat pongono però il problema più generale della governance aziendale e degli strumenti più idonei per promuoverne una adeguata ed efficace. La vera anomalia italiana non è rappresentata dalle aziende familiari, quanto dalla percentuale record di imprese in cui non solo l’amministratore delegato, ma l’intero management è espressione della famiglia che ne detiene il controllo, così come illustrato dalla tabella e dal grafico qui sotto, basati su dati Efige 2014.
Se si parte dal presupposto che il successo di un’azienda rispetto alla concorrenza dipende dalla validità delle scelte strategiche del management e dalla sua capacità di organizzare i fattori produttivi, la preponderanza di aziende in cui l’amministratore delegato e l’intero management sono espressione della famiglia che ne detiene il controllo non può non avere conseguenze deleterie. Ben difficilmente all’interno di una famiglia si concentreranno tutte le eccellenze necessarie a guidare con successo un’azienda. L’inadeguatezza del management e il suo meccanismo di selezione avrà poi effetti negativi sulla motivazione del resto della struttura e sull’affermazione del principio meritocratico.

Il legame con la produttività
Ci saranno eccezioni, ma la minore produttività media delle aziende familiari, le molteplici evidenze empiriche e il raffronto internazionale indicano che situazioni simili sono diffuse e hanno un impatto rilevante nel loro complesso.
Nel saggio “Diagnosing the Italian Disease” si sostiene che la scarsa produttività delle imprese italiane e la loro ridotta propensione a innovare è dovuta alla mancanza di meritocrazia nella selezione dei manager. È una tesi che trova conferma in uno studio della Banca d’Italia nel quale si dimostra che, in termini di propensione alle esportazione, la natura della proprietà ha un impatto trascurabile, ma la variabile chiave è il management: le imprese in cui è espressione della famiglia sono meno orientate all’export e ancora meno disposte a esportare verso i mercati più competitivi, per i quali le competenze manageriali sono fattori critici di successo.

Poca meritocrazia in azienda
Il fenomeno della scarsa meritocrazia nella selezione manageriale pertanto non è per nulla limitato alla politica, ma ha forse il suo epicentro in quelle che rappresentano l’architrave del sistema produttivo italiano: le aziende familiari. E si sviluppa lungo la direttrice di un sistema imprenditoriale in cui la lealtà prevale sulla competenza come strumento di selezione della classe dirigente. Ma un sistema in cui la conservazione del controllo rappresenta l’obiettivo primario a scapito dell’innovazione organizzativa e tecnologica non può certo raggiungere i risultati migliori.

Stop ai privilegi
I benefici fiscali sulle imposte di successione concessi agli eredi di un imprenditore vanno dunque aboliti non solo per equità, ma anche per incidere sulla produttività complessiva del sistema, seguendo la strada di recente intrapresa dal governo tedesco. Provvedimenti simili vanno altresì accompagnati da strumenti efficaci per promuovere un rafforzamento della governance delle imprese, in quanto l’anomalia non è rappresentata dalla proprietà in sé, ma dagli assetti manageriali.

La successione del management

Un primo strumento è incoraggiare il trasferimento dell’azienda ai suoi dirigenti mediante operazioni di management buy-out, che ne garantiscano la continuità strategica e organizzativa. Operazioni di questo tipo possono essere sostenute facilitando l’accesso al credito per finanziare l’acquisizione.
La seconda direttrice è promuovere e imporre una maggiore trasparenza nei processi di selezione del personale in genere, ma del management in particolare, al fine di allargare il campo di scelta ed incoraggiare la meritocrazia.
La terza è prevedere l’estensione delle quote rosa al management: vari studi dimostrano che una maggiore presenza di donne nel management migliora i risultati aziendali, benché i meccanismi di causalità potrebbero essere anche di tipo inverso, ossia indicare che le aziende meglio gestite hanno una più alta percentuale di donne in posizioni di vertice.

Lavoratori nel board

Si possono poi ipotizzare requisiti più stringenti in merito alle qualifiche necessarie per i membri dei consigli di amministrazione. Infine, seguendo l’esempio della Germania, si potrebbe ripensare la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori e di altri portatori di interesse nei cda, per assicurare che le aziende vengano gestite nell’interesse dell’azienda, della sua sopravvivenza e della sua crescita, e non nell’interesse della famiglia del proprietario

Guido Della Valle e Paolo Di Lorenzo, tratto da Lavoce.info

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